Novantaquattro cargo bloccati dalle navi russe nei porti ucraini, ritardi nella logistica delle materie prime, aumenti dei prezzi dei materiali, preoccupazioni per gli approvvigionamenti alimentari: ecco solo alcuni degli spettri che si agitano all’alba del 36° giorno della guerra fra Russia e Ucraina. Oltre al timore, sempre più forte, di un aggravamento e di un’estensione incontrollata del conflitto.
Una famosa frase del Generale americano Omar Bradley recitava: “Amateurs talk strategy. Professionals talk logistics”. Ovvero, “i dilettanti discutono di strategia, i professionisti parlano di logistica”. Sebbene, infatti, fiumi di parole si sprechino in questi giorni intorno alle problematiche strategiche del conflitto, di logistica se ne parla sempre troppo poco. E si parla poco soprattutto di quegli effetti negativi che sembrano aver colpito le forze armate della Federazione Russa impegnate sul teatro ucraino; senza poi contare i generali riflessi sulla sfera dei trasporti internazionali e della fornitura di materie prime.
Arte dell'organizzazione, della progettazione e della gestione delle attività tecniche che riguardano la fornitura e le risorse necessarie per supportare obiettivi e operazioni, la logistica è un’entità immanente, un elemento che tocca tutte le sfere delle attività umane, decretando successi o disastri irreparabili, a diversi livelli dimensionali e spazio-temporali.
Ma andiamo per ordine.
Disastri ucraini
Se da una parte la Russia sta a poco a poco subendo lo strangolamento delle sanzioni imposte dall’Occidente, ciò sembra andare di pari passo con una serie di errori strategico-operativi di grande portata, che stanno provocando a poco a poco una metamorfosi dei piani d’aggressione rispetto a quelli visti nelle prime settimane del conflitto. Potenza militare imponente (ricordiamo che quello russo era – all’alba della guerra – il secondo esercito per dimensioni e tecnologia a livello mondiale, dopo quello degli Stati Uniti), in queste settimane la Russia ha dimostrato tutti i suoi fortissimi limiti proprio in quella dimensione citata da Bradley come essenziale per essere considerati veramente dei professionisti della guerra.
Carri inchiodati dalla rasputiza (il disgelo del periodo primaverile), bersagliati in fila sulle strade da un esercito ucraino ben superiore a quanto immaginato prima dell’aggressione, equipaggi e reparti costretti al saccheggio di negozi e abitazioni civili per mancanza di rifornimenti, carenza di munizioni, errori di comunicazione e perdite amiche. Questi non sono dati frutto della disinformazione occidentale, come ritengono alcuni. La Russia sta dimostrando chiaramente un’incapacità logistica importante sul terreno, esorcizzata – militarmente parlando – solo dalla pressione psicologica portata con i bombardamenti terroristici dei centri abitati, con l’impiego delle squadracce cecene e siriane nelle città assediate e con il blocco navale del mar d’Azov e della costa ucraina.
La stessa fulminea operazione di conquista del sito nucleare di Cernobyl, il 25 febbraio scorso (seguita da quella di Zaporizhzhia il 5 di marzo), geniale dal punto di vista tattico (chi avrebbe mai il coraggio di bombardare un centro logistico in prossimità di un reattore nucleare?), non è stata valutata con la necessaria preparazione. E i risultati li vediamo adesso: è notizia di oggi il trasferimento verso ospedali bielorussi di personale militare addetto all’hub logistico di Chernobyl con segni di avvelenamento da radiazioni, proprio perché installato in un’area ancora mortale per l’inquinamento radioattivo.
I riflessi sulla logistica globale
Un disastro che ha comunque i suoi effetti anche a livello globale e non solo militare. La logistica, come abbiamo detto, è un’entità immanente, che determina il progredire o il fermare le attività umane, soprattutto in un mondo ormai totalmente globalizzato, in cui tutto è interconnesso.
Secondo quanto pubblicato recentemente in un rapporto del Centro Studi di Assolombarda, la guerra scatenata da Mosca in Ucraina ha acuito – per la logistica – una situazione generale di sofferenza pregressa già conosciuta. I tempi di consegna dei materiali, i ritardi nelle catene di fornitura si sono intensificati, infatti, nell’area euro lungo tutto il corso del 2021. Una situazione che ha trovato una temporanea soluzione nei primi due mesi del 2022, ma che si è aggravata nuovamente e in modo drammatico dopo lo scoppio della guerra.
I prezzi dei trasporti sono aumentati soprattutto per le rotte navali prossime alle aree del conflitto. In alcuni casi, con aumenti dell’ordine del 100% (si vedano, ad esempio, i noli delle petroliere per la rotta Novorossiysk-Augusta, che sono balzati al 97% in più rispetto al gennaio 2020) o anche di più, se consideriamo le rotte verso Turchia e Egitto dei cargo alimentari, sempre a partire dai porti del Mar Nero, che hanno conosciuto crescite comprese fra il 138% e il 189%.
Anche i trasporti aerei, importanti soprattutto per l’industria elettronica, hanno conosciuto rincari consistenti: nella sola settimana scorsa (21-28 marzo), il prezzo delle principali rotte aeree intercontinentali si è attestato su valori del +153% rispetto al periodo pre-Covid.
In base all’analisi di Assolombarda, a tutto ciò si assommano inoltre gli allungamenti nei tempi di consegna: se a inizio 2020 solo il 5,4% delle aziende lamentava ritardi nelle consegne, nel primo trimestre del 2022 la percentuale è passata al 14%. E la tendenza è comunque in crescita.
Materie prime: semiconduttori a rischio? Forse no
E i ritardi delle consegne sono solo uno degli aspetti di quella critica carenza di forniture che sembra funestare l’industria dei semiconduttori. Ne abbiamo parlato a lungo negli ultimi articoli. L’Ucraina, vista la situazione militare nel paese, ha temporaneamente chiuso le forniture del neon. Si tratta, come abbiamo detto più volte, di un gas sottoprodotto della lavorazione dell’acciaio, elemento essenziale nella produzione dei semiconduttori. Le due aziende che forniscono fra il 45 e il 54% del neon per microchip (la Ingas e la Cryoin) hanno i propri impianti in due aree calde del conflitto: Odessa e Mariupol. Si tratta di una produzione complessiva mensile di 30-35 tonnellate, che da questo momento in avanti non arriverà più. Eppure, non c’è da preoccuparsi troppo: le aziende chiave nella produzione di semiconduttori hanno fatto scorta di questi materiali, assicurandosi la continuazione delle lavorazioni per un periodo compreso fra i 3 e i 12 mesi dal momento dell’interruzione delle forniture. C’è solo da sperare che la guerra si risolva il prima possibile.
Anche per il palladio la situazione si sta normalizzando. Dopo un picco incredibile, che ha raggiunto il 7 marzo scorso quota 102 € al grammo (3400 US$ all’oncia), il palladio è tornato sui livelli pre-conflitto, attestandosi oggi su quota 85 €. La logistica, di nuovo, potrebbe presentare dei problemi, ma – come già detto nel passato – le aziende hanno già iniziato a pensare alla sostituzione di questo materiale con il platino, meno costoso (28 € al grammo) e più facilmente reperibile da altre fonti, visto che la Russia conta solo il 13% della totale produzione mondiale.
Altri rincari, altre preoccupazioni
Altri ricari, causati in parte anche dagli intoppi logistici provocati dal conflitto, sono quelli delle materie prime in generale.
Per quello che riguarda l’energia, il prezzo del gas naturale europeo si attesta oggi sui 102,5 €/MWh, con un +818,2% rispetto a gennaio 2020; anche il prezzo del greggio, intanto, continua a crescere, attestandosi su un buon +79,0% rispetto allo stesso periodo del 2020.
Lasciamo ai lettori l’onere di seguire la vicenda del gas russo, che occupa giornalmente pagine e pagine dei quotidiani di tutto il mondo.
I metalli, lo abbiamo già visto, non navigano in buone acque: l’acciaio continua a mantenersi sui livelli registrati immediatamente dopo l’invasione (+208,3%), seguito da altri elementi importanti per le attività siderurgiche (ma con ricadute notevoli anche per il comparto elettronico): il nichel, che si mantiene sempre a valori superiori al 150%, così come l’alluminio e il rame, che segnano anch’essi una costante crescita, rispettivamente del +106,0% e del +71,2%.
Una parola infine anche per il settore agroalimentare, che non ci tocca tecnologicamente, ma che è essenziale per tutti noi (soprattutto per quei paesi del Nordafrica – dipendenti strettamente dalle forniture russe e ucraine – che rischiano una carestia alimentare nei prossimi mesi). I prezzi del frumento e del mais sono cresciuti del +89,4% e +96,2%, quello dell’olio di girasole del +182% e quello del fertilizzante urea e nitrato di ammonio, addirittura del +396%. Ricordiamoci che la Russia, nel settore dei fertilizzanti, insieme alla Cina, è il più importante esportatore del mondo e che con il nitrato di ammonio non si producono solo fertilizzanti, ma anche esplosivi.
La guerra delle parole
Intanto la guerra continua, anche quella delle parole. Dopo gli scivoloni linguistici e le gaffe diplomatiche del presidente americano, che hanno irritato il Cremlino, e dopo settimane di braccio di ferro fra Russia e UE per il pagamento del gas in rubli anziché in dollari (o euro), oggi Putin sembra essere sceso a più miti consigli. Secondo quanto dichiarato dal presidente del consiglio Mario Draghi, a seguito della lunga telefonata col presidente Putin di mercoledì scorso, i pagamenti delle forniture di gas da parte delle aziende europee con contratti già in essere potranno ancora essere effettuati in euro o in dollari. Un cambiamento di programma? Un ripensamento? Forse. Ma non bisogna illudersi. Il presidente russo è tutto fuorché prevedibile nelle sue azioni. Lo ha dimostrato più volte in queste ultime settimane.
Intanto, miliardi di rubli vengono spesi ogni giorno dalla Russia nel suo accanimento contro un popolo che non ha nessuna intenzione di cedere e che vuole (e deve) vincere una guerra disperata. La struttura logistica delle forze russe sul campo, intanto, fa acqua da tutte le parti. E questo è un fatto indubbio, nonostante alcuni commentatori sostengano che tutto quello che sta succedendo possa essere il frutto di un freddo calcolo scacchistico dell’uomo del Cremlino.
Non siamo molto d’accordo con questa posizione. Fino a questo momento la condotta delle "operazioni militari speciali" in Ucraina - lo dimostrano i dati a nostra disposizione - non sembra affatto il risultato di una precisa e scrupolosa programmazione, ma il risultato di un’operazione approssimativa e destinata, speriamo, a risolversi in una meritata débacle militare.
La lungimiranza è infatti un altro elemento imprescindibile per avere successo quando si intraprende una strada così dolorosa e impegnativa. E, a quanto è dato a vedere, quest’ultima non è una dote privilegiata di chi è responsabile di un disastro globale che non sembra avere fine.