Il forte aumento nella domanda di batterie rende il litio materiale tra i più ricercati. Il punto della situazione tra problemi reali e presunti, e le possibili alternative.
Tra disponibilità di materie prime, fabbisogno di energia in rapido aumento, situazione geopolitica delicata e sostenibilità, l’attenzione sul tema batterie negli ultimi tempi è diventata ancora maggiore di quanto fosse già solo pochi mesi fa.
In particolare, l’attenzione è rivolta soprattutto all’approvvigionamento del litio, al momento materiale privilegiato quando si parla di batterie, intorno al quale rischiano di aprirsi confronti serrati a più livelli. Tra le tante voci in circolazione però, alcune non corrispondono esattamente alla realtà. Inoltre, le alternative non mancano e può quindi tornare utile un po’ chiarezza al riguardo.
Prima di tutto, come quando si parla di terre rare, il problema del litio non è al momento la disponibilità. Il minerale, infatti, ha una presenza piuttosto diffusa, soprattutto in aree contese, come nello Scudo Ucraino citato in un nostro precedente articolo sul tema. Se ne può trovare anche in Italia e, proprio in questo senso, si segnala l’avvio di un importante progetto di ricerca guidato da Enel nel Lazio. La vera difficoltà sta nell’estrazione e nella relativa lavorazione.
Si tratta di un processo costoso, per il quale servono quindi importanti investimenti a lungo termine e la prospettiva di lavorare quantità di materiale abbastanza grandi. Nel frattempo, i problemi sono legati soprattutto al divario tra domanda e offerta, la ragione principale dell’attuale impennata dei prezzi.
L’automotive guida la domanda di litio
Come prevedibile, al momento il settore trainante per le batterie al litio è quello automobilistico. Chi ancora utilizza gli accumulatori a cobalto e nichel meno performanti si sta organizzando per una transizione. I principali produttori sono impegnati nei progetti di nuove miniere. Al fianco della ricerca di nichel in Tanzania e litio in Argentina si sviluppano anche impianti con qualche attenzione alla sostenibilità per l’estrazione diretta. In Europa si parla di litio geotermico, con la prospettiva di iniziare la produzione nel 2025.
Nel frattempo, però, bisognerà comunque continuare per quanto possibile a garantire l’approvvigionamento secondo le possibilità attuali. In particolare, come ha insegnato la carenza dei componenti elettronici, è fondamentale muoversi senza esitazione in alcune direzioni, a partire da una diversificazione delle forniture, per abbassare il rischio di dipendenza.
La miniera del riciclo
Una via al momento molto seguita è quella del riciclo. Un settore nel quale l’Europa può svolgere un ruolo importante, indipendente dalla presenza di miniere e in linea con buona parte di tutte queste esigenze.
Un buon esempio in questa direzione arriva da Sunlight. L’azienda crede infatti fermamente nel riciclo, al punto da investire nell’immediato sul potenziamento di un impianto per trattare le batterie al piombo, preparandosi nel frattempo anche per gestire quelle al litio, una volta che il materiale esausto inizierà a raggiungere volumi importanti.
Attualmente, l’impianto greco di Komotini è in grado di riciclare fino a 25.000 tonnellate di batterie esauste all’anno, garantendo all’azienda più del 50% del fabbisogno di piombo per le produzioni interne. Nel mirino anche l’Italia, dove Sunlight punta a recuperare 15.000 tonnellate di batterie esauste al piombo acido all’anno entro il 2024.
Ancora oggi, infatti, queste batterie restano le più usate. Un giro d’affari mondiale di 65 miliardi di dollari, destinato a durare ancora qualche tempo. Tra i limiti principali delle alternative, infatti, la durata limitata e un processo di smaltimento più costoso rispetto alle soluzioni attuali. Una ragione in più per organizzarsi in autonomia. In questo modo Sunlight afferma di aver ridotto a meno del 5% i rifiuti da smaltire considerati a rischio.
Un investimento destinato a crescere nei prossimi anni. Per il 2025, infatti, l’obiettivo è uno stabilimento con la capacità di raddoppiare la quantità di materiale trattato, grazie anche al potenziamento della rete di raccolta in Europa.
Altrettanto importante è l’attività di ricerca. Le batterie con tecnologia LFP (litio-ferro-fosfato) sono considerate al momento tra le più affidabili in prospettiva futura. L’obiettivo è sviluppare nuovi metodi per rivitalizzare e riutilizzare i materiali nelle celle LFP, contribuendo così a garantire che la tecnologia agli ioni di litio sia più sostenibile grazie alla possibilità di riutilizzare gli accumulatori.
Tutte le strade che portano al litio
Tra le ipotesi allo studio, una delle più seguite va alla ricerca di fonti alternative di litio, più economiche e possibilmente più diffuse. Per quanto ancora ai primi passi, interessante la possibilità di ricavarlo dai giacimenti di petrolio e gas già attivi, estraendolo dal scisto.
Ne parla Kyung Jae Lee, assistente professore di ingegneria petrolifera presso il Cullen College of Engineering dell’Università di Houston, nella ricerca “Potential of petroleum source rock brines as a "New Source of Lithium: Insights from basin-scale modeling and local sensitivity analysis”.
Dal lavoro risulta come il litio altamente concentrato si trovi dove in pochi sarebbero andati a cercare, cioè nell’acqua sottoprodotto dell’estrazione di petrolio e gas naturale. L’analisi delle salamoie rocciose a base di petrolio ha portato alla interessante scoperta e, negli USA, si è iniziato a crederci. Un’azienda di lavorazione del litio con sede in Pennsylvania sta acquistando l’acqua prodotta dalle compagnie petrolifere e del gas a Marcellus Shale, proprio per estrarne il litio.
Un’altra opportunità è estrarre i carbonati di litio dal fluido usato nelle centrali geotermiche a ciclo chiuso. Importanti sono naturalmente le ripercussioni sull’ambiente. Si parla infatti di un impatto infinitamente minore rispetto alle miniere convenzionali. Inoltre, con il vantaggio di riuscire a produrre elettricità, riscaldamento e raffreddamento e litio in un unico impianto.
Dell’opportunità si sta interessando ufficialmente anche Enel Green Power. In collaborazione con Vulcan Energy si intende avviare una prima fase di studio presso il sito di Cesano, su un'area di 11,5 kmq a pochi chilometri da Roma. L’obiettivo è esaminare le prospettive di ulteriori sviluppi in tema di litio geotermico a partire dall’area in questione, ma non escludendo ulteriori collaborazioni in Italia e all’estero.
È una prospettiva questa sotto osservazione in tutta Europa. Secondo l’Associazione della geotermia in Europa (EGEC), nel continente ci sono riserve sfruttabili ben identificate di litio nel graben dell’Alto Reno, nell’Alsazia in Francia, intorno a Basilea in Svizzera e in Germania vicino a Francoforte.
In cerca di alternative
C’è anche un’altra strada, decisamente più drastica. Guardare cioè oltre minerali come il litio e trovare alternative più in linea con le esigenze attuali di affidabilità, sostenibilità e soprattutto maggiore indipendenza possibile da pochi produttori.
Si parla ancora soprattutto di sperimentazioni. Le indicazioni interessanti tuttavia non mancano. A partire dal nitruro di gallio (GaN). Come analizzato in un articolo di Esquire, grazie a questo semiconduttore utilizzato negli emettitori sin dagli anni ’90, le batterie dei veicoli elettrici potrebbero perdere peso critico e anche caricarsi più velocemente. Grazie alla composizione chimica e fisica del GaN rispetto al silicio, si pensa di poter ottenere una capacità maggiore impiegando meno materiali.
La prospettiva più drastica è anche la più suggestiva, ma – al tempo stesso –anche la meno definita. Si tratta del progetto di Alsym, le cui promesse sembrano fi troppo belle per essere vere. L’azienda specializzata nel settore dell’energia afferma di avere in fase avanzata di studio una soluzione ideale, cioè una batteria in grado di garantire le stesse prestazioni di quelle al litio e cobalto utilizzando materiali alternativi, reperibili ovunque, non infiammabili e non tossici. Come se non bastasse, anche facili da riciclare e senza impatti significativi sull’ambiente.
Un progetto questo all’apparenza anche con finalità umanitarie. Tra gli obiettivi, l’azienda indica anche la possibilità di liberarsi dalla dipendenza, non tanto dei minerali, quanto di chi li controlla. Una tecnologia, soprattutto, al servizio delle nazioni che non siano in condizione di permettersi contratti onerosi.
Il problema è però molto pratico. Ufficialmente, si tratta di una tecnologia in attesa di brevetto. Quindi, fino a quel momento coperta dal massimo riserbo. A sostegno dell’idea resta comunque la garanzia di un nome già affermato nel settore e pronto a investire regolarmente in ricerca e sviluppo… oltre ad avere una buona reputazione. Dall’inizio delle operazioni, nel 2015, Alsym ha infatti raccolto investimenti per il totale di 32 milioni di dollari. Inoltre, secondo le dichiarazioni dell’azienda, una fabbrica dedicata sarebbe già in corso di allestimento nel Massachusetts, pensata per una capacità di 500 kWh.