Antiparticolato: la gestione di FAP e DPF

Il filtro antiparticolato è un dispositivo autorigenerante capace di eliminare periodicamente gli idrocarburi incombusti che trattiene; il suo funzionamento passa da un’accurata gestione elettronica

Dalla combustione dei motori diesel e a benzina derivano emissioni di particolato (idrocarburi incombusti o HC) che con l’evoluzione delle tecniche motoristiche è diventato minore nella massa, ma molto fine; sebbene la minore quantità di emissioni specifiche farebbe pensare che i motori odierni siano, sotto l’aspetto del particolato, meno dannosi per la salute, la ridottissima dimensione delle particelle si colloca nelle cosiddette “micropolveri” o PM10 e dice il contrario. Ecco perché malgrado le emissioni di HC per km siano inferiori a quelle di un motore di trent’anni fa, nei motori Diesel common-rail con pressioni di iniezione sopra i 1.000 bar e in quelli a iniezione diretta di benzina (GDI, TSi ecc.) si adotta il filtro antiparticolato, altrimenti noto come “trappola antiparticolato” perché funziona trattenendo le micropolveri contenute nei gas esausti. Tale dispositivo può essere il FAP (nato dal gruppo PSA) o il DPF della Bosch.

Figura 1 – Struttura interna di un sensore differenziale Bosch per filtro antiparticolato
Figura 1 – Struttura interna di un sensore differenziale Bosch per filtro antiparticolato

Il particolato trattenuto dal filtro dev’essere combusto, onde evitare l’intasamento; questa operazione, detta rigenerazione, può essere spontanea quando la temperatura dei gas di scarico (EGT = Exhaust Gas Temperature) raggiunge da sola quella richiesta alla combustione e ciò accade quando il motore è sotto carico, ovvero gira almeno sui 2.000 giri/min e nel percorso autostradale.

Se non sussiste tale condizione interviene la ECU motore, che provvede bruciare periodicamente il particolato intrappolato nella sua struttura.

Questa operazione, detta rigenerazione assistita (o rigenerazione pilotata) viene avviata e gestita  dalla ECU motore sulla base della differenza di pressione rilevata mediante due trasduttori di pressione, posti uno all’entrata e l’altro all’uscita del filtro, ovvero tramite un sensore di pressione differenziale (DPS=Differential Pressure Sensor): se la differenza di pressione è nulla o non supera un certo valore, vuol dire che il filtro antiparticolato è libero o non abbastanza pieno da ostacolare il deflusso dei gas di scarico, mentre quando il differenziale di pressione raggiunge una soglia impostata nel firmware della ECU motore significa che il FAP/DPF si sta ostruendo e va rigenerato.

Figura 2 – Sensore differenziale di pressione Bosch per filtro antiparticolato
Figura 2 – Sensore differenziale di pressione Bosch per filtro antiparticolato

Elettronica e rigenerazione (gestione antiparticolato)

Per bruciare il particolato si effettuano delle post-iniezioni supplementari quando ormai la valvola di scarico è aperta: ciò eleva la temperatura dei gas esausti che brucia il particolato residuo.

Nel FAP, per facilitare la combustione del particolato viene introdotto nel gasolio un additivo che è di solito cerina o Eolys contenuto in un piccolo serbatoio a parte, il quale abbassa la temperatura di inizio combustione delle polveri a circa 450 °C. La cerina non brucia nel motore ma si aggrega al particolato accumulandosi nel FAP per poi attivarsi durante la rigenerazione, quando rilascia ossigeno e arricchisce la combustione, in modo da bruciare prima il particolato.

L’additivo viene dosato automaticamente dalla ECU motore analizzando il segnale fornito dal sensore del galleggiante del serbatoio e verificando quando aumenta, perché ciò significa che è stato  aggiunto gasolio.

Quanto al DPF, è simile al FAP ma non utilizza alcun additivo, ragion per cui deve lavorare a temperatura più elevata (sopra i 600 °C) e per questo richiede più post-iniezioni e una  rigenerazione più lunga; tale filtro è adottato anche nei motori a iniezione diretta di benzina.

Durante la rigenerazione, la ECU motore attiva una strategia di incremento della temperatura dei gas di scarico, laddove ce ne sia bisogno (ovvero quando il sensore EGT indica alla ECU che non sono sufficientemente caldi) e di incremento del carico del propulsore, implementata attraverso l’attivazione di carichi elettrici energivori come lunotto termico e serpentine riscaldatrici dei retrovisori esterni, ma anche l’elettroventola del radiatore.

Per ridurre il numero di post-iniezioni e quindi limitare la diluizione del lubrificante (inevitabile perché del carburante incombusto cola lungo le canne dei cilindri finendo nella coppa dell’olio), la ECU comanda eventualmente l’apertura della EGR in modo da ottenere un aumento di temperatura dei gas di scarico fino a 600°C; inoltre nei recenti DPF abbinati a turbocompressori VGT elettroattuati, durante le post-iniezioni la ECU imposta l’apertura delle palette in modo da far arrivare direttamente i gas di scarico al filtro limitando le perdite termodinamiche.

In vero la ECU calcola ogni quanti km avviare la rigenerazione in base alle condizioni di guida e all’accumulo di particolato che stima ne possa derivare, prevedendo questi intervalli:

  • 100÷200 km in ciclo urbano con traffico difficoltoso;
  • 200÷300 km in condizioni di traffico scorrevole e percorso urbano;
  • 500 km in condizioni di traffico molto scorrevole e ciclo extraurbano;
  • 1.500 km su percorso esclusivamente autostradale.

L’accumulo di particolato fra una rigenerazione e l’altra viene stimato dalla ECU motore mediante un modello matematico che rileva le condizioni di guida sulla base dell’andamento della coppia del motore in rapporto alla velocità del veicolo; ad esempio, molta coppia e bassa velocità ripetutamente corrispondono a continue accelerazioni e quindi a condizioni di traffico difficoltoso. Questo viene fatto ciclicamente (normalmente ogni ora) dalla ECU, che basandosi sul modello matematico stima la massa del particolato prodotto nel tempo (g/min.) dal motore; il valore corrispondente viene sommato a quelli calcolati in precedenza per stimare la massa totale del particolato accumulato dall’ultima rigenerazione, determinando così il momento in cui avvierà la rigenerazione assistita.

La ECU motore memorizza le condizioni di guida delle ultime cinque rigenerazioni e stabilisce il momento migliore per l’attivazione della rigenerazione sulla base dei relativi dati.

La rigenerazione può comunque essere avviata prima del previsto sulla base del rilevamento del sensore differenziale di pressione, ma questo è un intervento considerato d’emergenza.

La differenza di pressione tra ingresso e uscita rappresenta il livello di carico del filtro antiparticolato.

Le mappe della ECU motore incorporano quattro livelli di operatività determinati in base alla pressione differenziale, alla massa d’aria aspirata, alla pressione atmosferica e alla temperatura dei gas di scarico (a valle del convertitore catalitico).

La gestione elettronica del FAP/DPF prevede di norma due livelli di rigenerazione assistita, ovvero due mappe della ECU motore correlate alla temperatura dello scarico:

  • livello 1, corrispondente ad impianto di scarico e catalizzatore freddi, con preriscaldamento del convertitore a 250 °C;
  • livello 2; impianto di scarico caldo, con temperatura superiore a 250 °C.

Nel primo caso la ECU inserisce gli utilizzatori elettrici energivori (lunotto termico ed eventuali specchietti e parabrezza riscaldati, ventola raffreddamento, candelette di preriscaldo) per sforzare il motore e bruciare più combustibile per mantenerlo a un regime di giri poco sopra il minimo.

Nel secondo livello le azioni sono simili ma la mappatura della ECU imposta due post-iniezioni aggiuntive e fa chiudere leggermente la valvola dosatrice, se presente nel motore.

La rigenerazione pilotata ha fine quando il sensore di pressione differenziale fornisce una differenza tra pressione di ingresso e d’uscita nel range previsto dalla ECU, ovvero quando la differenza rientra in un range che il firmware considera di normalità.

Figura 3 – Sensore differenziale per filtro antiparticolato con dettaglio in sezione (FAE)
Figura 3 – Sensore differenziale per filtro antiparticolato con dettaglio in sezione (FAE)

Sensori di pressione differenziale

In particolare, a motore spento e quadro acceso, il sensore differenziale registra una pressione di 0 mbar, quindi nulla; a motore in moto al minimo, la pressione si colloca normalmente fra i 4 ed i 6 mbar se il filtro è completamento pulito. Accelerando, la pressione aumenta fino a 100 mbar e sale ulteriormente quando il filtro va riempiendosi.

Il sensore differenziale è concettualmente composto da una lamina di materiale piezoresistivo protetta dai due lati da una membrana; alle due facce arrivano i gas di scarico attraverso due raccordi che tramite tubicini sono collegati ad altrettanti raccordi che sfociano uno all’entrata (lato motore, pressione P1) e uno all’uscita (lato catalizzatore, pressione P2) del filtro antiparticolato.

I due raccordi sono contrassegnati sul corpo o sull’etichetta e spesso distinguibili per il diverso diametro (l’ingresso è più grande perché è quello che registra la pressione maggiore).

Quando la pressione di entrata eguaglia quella di uscita, la lamina non è sollecitata; man mano che il filtro si riempie aumenta la differenza di pressione registrata tra le due facce, quindi la lamina viene compressa e la sua resistenza si modifica. Inserendo questa in un ponte di Wheatstone è possibile ottenere un segnale in tensione proporzionale al differenziale di pressione, che la ECU interpreta.

Il sensore può anche essere capacitivo, dove la pressione agisce su una lamina elastica di metallo che sotto l’effetto della differenza di pressione si avvicina o si allontana da una fissa, determinando una variazione di capacità che viene poi rilevata da un circuito elettronico e convertita in variazione di tensione dovuta allo spostamento della carica elettrica.

Ma il sensore di pressione differenziale può anche essere formato da due sensori distinti, ciascuno affacciato su un raccordo di arrivo dei gas di scarico, letti da un circuito elettronico che ne esegue la differenza; per esempio, i segnali dei due elementi potrebbero essere inviati ognuno a un ingresso di un amplificatore differenziale, la cui uscita fornisce una tensione analogica direttamente o inversamente proporzionale al differenziale di pressione rilevato.

Un esempio di sensore per FAP/DPF è il Kyocera AVX (AB Elektronik Sachsen) che tollera una pressione differenziale (P1-P2) da 0 a 1 bar, una pressione allo scarico fino a 2 bar, misura con una tolleranza minore dell’1% e dispone di due sensori dei cui segnali fa la differenza. Sopporta range di temperatura da -40 a 150 °C, quindi va posto lontano dal motore, come tutti i sensori differenziali per FAP/DPF.

Il sensore utilizza celle di pressione piezoresistive su supporto in materiale ceramico (allumina, Al2O3) che entrano in contatto con i gas di scarico dal lato opposto a quello in cui è situato il circuito stampato; quindi, non è necessaria una protezione aggiuntiva.

L’avere due celle di misura consente di disporre di due segnali ridondanti e gestibili distintamente, da utilizzare oltre al segnale differenziale.

Simile è la struttura dei sensori FAP/DPF Bosch, proposta nella Figura 1, che ne mostra l’esploso (la Figura 2 propone invece l’aspetto esterno).

Un tipico sensore Bosch è l’EPS-002, che in condizioni di filtro antiparticolato “pulito” fornisce a motore al minimo da 0,5 a 0,7 V; la tensione cresce con l’aumento della pressione differenziale. A un regime di giri intorno ai 2.000 rpm, con filtro pulito il sensore fornisce intorno agli 1,6 V; se il filtro antiparticolato inizia a intasarsi, la tensione sale fino a 4 V.

Il range di tensione di questo genere di sensori è fra 0 e 4,5 V con alimentazione a 5 Vcc e la connessione è a tre poli, di solito disposti così:

1) segnale pressione differenziale;

2) massa;

3) +V.

Altro esempio di sensore è proposto dalla FAE e si basa su una membrana elastica esposta dalle due facce alle due pressioni, cui sono applicati elementi piezoelettrici: quando il lato di uscita del filtro scende di pressione, la membrana viene deformata e gli elementi piezoelettrici producono una tensione causata dalla deformazione, la quale viene condizionata da un’elettronica interna e fornita attraverso il connettore, sempre a tre poli. Il funzionamento è dettagliato nella Figura 3, dove viene schematizzato il funzionamento in condizione di pressione uguale e con differenza di pressione. Nella Figura 4 è possibile vedere la struttura interna e le connessioni del circuito elettronico di tale sensore.

Filtri Antiparticolato. – Figura 4 – Sensore differenziale per filtro FAP/DPF (FAE): 1) sensore composto da un circuito stampato montato su supporto di allumina; 2) involucro in PBT+30FV; elettrodi del connettore; 4) coperchio divisorio delle camere di pressione
Figura 4 – Sensore differenziale per filtro FAP/DPF (FAE): 1) sensore composto da un circuito stampato montato su supporto di allumina; 2) involucro in PBT+30FV; elettrodi del connettore; 4) coperchio divisorio delle camere di pressione

 

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