Addio alle batterie!

Con un potenziale applicativo trascurato per almeno un secolo, l’energy harvesting rappresenta una delle sfide più interessanti del futuro.

L’importanza dell’energy harvesting, come tecnologia di generazione di potenza elettrica per alimentare sistemi elettronici di natura embedded è emersa in concomitanza del proliferare di tali sistemi, soprattutto con caratteristiche ultra low-power. Contesti applicativi in forte espansione e con prospettive di volumi di miliardi di miliardi di dispositivi interconnessi con requisiti applicativi always-on come IoT, hanno reso obsolete le tradizionali batterie usa e getta, sia per motivi pratici applicativi (durata limitata con conseguente sostituzione periodica), sia per motivi di sostenibilità ambientale (miliardi di batterie esauste da riciclare o smaltire, oppure produrre ex-novo).

L’energy harvesting non è una tecnologia dell’ultim’ora. È da tempo nota ed applicata in settori di nicchia, come l’orologeria e le calcolatrici consumer. Nel caso dell’orologeria l’applicazione più nota è quella dei cosiddetti orologi automatici, cioè orologi meccanici che invece di essere dotati della carica manuale (carica a corda della molla di azionamento) la carica della molla di azionamento viene ricavata dall’energia meccanica prodotta dal movimento del braccio cui è allacciato l’orologio. Una massa a bilanciere si muove in accordo con il movimento del braccio e carica (comprime) una molla che svolge la funzione di accumulatore di energia potenziale meccanica elastica. La molla viene caricata automaticamente con un processo di recupero di energia esterna al sistema. Rispetto all’orologio a carica manuale, il vantaggio sta nell’automatismo della carica e nella sua disponibilità illimitata nel tempo. Rispetto all’orologio a carica elettronica (orologi al quarzo), il vantaggio sta nell’assenza di batterie da sostituire quando queste sono esauste.

L’Energy harvesting (energia racimolata) è una tecnologia energetica che applica svariati principi della fisica per accumulare energia utile all’azionamento di sistemi prevalentemente elettronici.

Si pensi per esempio alla quantità (miliardi) di batterie per orologi che si potrebbero eliminare se tutti gli orologi fossero di tipo automatico (mechanical energy harvesting). Ma ciò non è avvenuto malgrado questa geniale invenzione, in quanto gli orologi elettronici (al quarzo) si sono imposti sul mercato sia perché più precisi di quelli automatici, sia perché più economici, sia per i volumi in gioco.

L’energy harvesting negli orologi è possibile anche per quelli elettronici, il caso più noto è quello della trasformazione della luce in energia elettrica accumulabile, ottenibile con i materiali fotovoltaici. Così sono stati realizzati, per gli orologi, sistemi di conversione fotovoltaica capaci di caricare accumulatori di cariche elettriche (capacitori) in grado di sostituire la funzione della batteria negli orologi al quarzo (il quadrante dell’orologio viene realizzato in un materiale fotovoltaico che collegato ad un capacitore, tiene questo costantemente carico per rendere disponibile la carica elettrica necessaria all’azionamento dell’orologio.

Un caso più emblematico di energy harvesting elettronico è quello sviluppato dalla SEIKO nella serie di orologi automatici denominata KINETIC, un’evoluzione elettronica dell’orologio automatico classico, ove il principio dell’harvesting rimane quello riferito all’energia meccanica resa disponibile dal movimento del braccio e il meccanismo di trasduzione dell’energia è meccano-elettrico (induzione elettromagnetica). In questo caso l’orologio automatico è completamente ad azionamento elettronico e quindi con le stesse prestazioni di un orologio elettronico al quarzo con batteria usa e getta.

L’orologio Kinetic di Seiko utilizza un sistema di energy harvesting elettronico derivato dal movimento del braccio, che carica un capacitore sufficiente ad alimentare il movimento elettronico al quarzo senza necessitare di batterie usa e getta.

Il caso degli orologi è significativo per capire come l’energy harvesting possa risolvere la problematica energetica in sistemi relativamente complessi e con limitati requisiti energetici.

Malgrado la tecnica dell’energy harvesting per gli orologi sia stata sviluppata per più di due secoli (fu inventata nel 1777) fino a raggiungere il massimo della perfezione alla fine del XX secolo, nel caso dei sistemi elettronici, a parte qualche caso applicativo marginale, il potenziale applicativo dell’energy harvesting è stato trascurato per almeno un secolo, tutto il XX secolo (l’arco di tempo dello sviluppo dell’elettronica e della microelettronica).

Fig. 2 – Tipico sistema sensore alimentato a batteria (fonte: ADI).

Oggi l’energy harvesting è diventata una tecnologia abilitante delle nuove tecnologie ICT e soprattutto del paradigma di rete Internet of Things (IoT), ove è previsto che miliardi di dispositivi elettronici (sensori) siano connessi in rete come nodi terminali con funzionalità di elaborazione e di comunicazione di dati 24 ore al giorno tutti i giorni senza soluzione di continuità e senza che possano essere assistiti manualmente relativamente alla ricarica o sostituzione delle batterie. Anche l’emergere dei sistemi wearable (indossabili) rende la tecnologia dell’energy harvesting sempre più importante e strategica.

L’energy harvesting per i sistemi elettronici embedded è finalizzato a racimolare l’energia disponibile nel mondo fisico prossimo al sistema e renderla disponibile in forma elettrica per accumulo in dispositivi elettronici come i capacitori.

Le possibili fonti di energia fisica disponibili per l’harvesting

• meccanica (inerziale);

• meccanica (piezo);

• termica (seebeck);

• luminosa (fotovoltaica);

• elettromagnetica (radiofrequenza).

I limiti tecnologici dell’energy harvesting sono strettamente connessi alla realizzazione di elementi di trasduzione sufficientemente piccoli e ad elevata efficienza, oltre a disporre di elementi di accumulo di cariche elettriche di elevata capacità e piccolissimo ingombro, come i supercap (super capacitori).

Un altro aspetto che rende questa tecnologia ancora una sfida è il fatto che l’energia non è disponibile in forma costante e stabile come richiederebbero i requisiti applicativi dei sistemi elettronici, e quindi è necessario integrare l’energy harvester con un’elettronica di controllo della potenza elettrica piuttosto sofisticata, che a sua volta richiederebbe di essere alimentata.

Power conversion e power management

Le caratteristiche di potenza elettrica dei sistemi microelettronici di ultima generazione (MCU) sono evolute verso l’obiettivo di soddisfare al massimo le caratteristiche dei sistemi di alimentazione come le batterie e gli energy harvester, pervenendo a caratteristiche di consumo ultra low-power (< 1 µW). Rimane comunque a carico del sistema di energy harvesting l’onere della conversione della potenza e della sua gestione, dato che l’energia trasdotta non è direttamente applicabile al sistema finale. In pratica l’energy harvester non è un semplice trasduttore, ma un sistema elettronico analogico di una certa complessità.

Il chip LTC 3108 di ADI in solo 3 x 4  mm e 0,75 mm di spessore in un package DFN a 12 pin o SSOP a 16 pin integra la funzionalità elettronica necessaria a gestire tensioni di ingresso ultra low-voltage (fino a un minimo di 20 mV).

Grazie a questo componente è possibile pervenire a una soluzione di energy harvesting sufficientemente compatta ed efficiente per soddisfare i requisiti applicativi di alimentazione dei sistemi wearable e dei sensori wireless di ultima generazione.

I trasduttori, cioè i dispositivi che consentono di trasformare un’energia fisica qualsiasi (meccanica, termica, luminosa, ecc.) in energia elettrica equivalente sono alla base dei sistemi di energy harvesting. Tali trasduttori, ove esistono, sono l’applicazione pratica di principi della fisica, come per esempio nel caso dei trasduttori termoelettrici: effetto Seebeck, per cui, un materiale sottoposto a un gradiente (differenza) DT di temperatura ai suoi estremi, sviluppa una differenza di potenziale elettrico DV.

Numerose sono le proprietà fisiche che portano alla trasformazione di energia fisica qualsiasi in energia elettrica, consentendo di ottenere un’ampia famiglia di trasduttori idonei alla implementazione di energy harvester:

• Seebeck;

• Piezo;

• Tribo (Scambio di elettroni tra materiali diversi a

contatto);

• Inerziale;

• Fotoelettrico;

• Capacitivo;

• Elettromagnetico.

Per ognuno di questi principi fisici di trasduzione sono stati realizzati dispositivi elettronici di trasduzione che realizzano il componente base per racimolare energia dall’ambiente e renderla disponibile ad un circuito elettronico di regolazione che consente di gestire la carica di un sistema di accumulo dell’energia elettrica: batteria ricaricabile o supercapacitore (supercap).

Nella prospettiva degli energy harvester, i supercapacitori sono più interessanti rispetto alle batterie ricaricabili in quanto capaci di elevati accumuli di energia in ridottissime dimensioni.

Le sorgenti di potenza elettrica utili all’harvesting sono caratterizzate da elevate impedenze interne che limitano la quantità di corrente trasferibile verso l’esterno (il sistema da alimentare). Vi è inoltre un altro problema da risolvere per gli energy harvester: l’alimentazione della circuiteria di controllo. L’energia consumata da tale circuiteria deve essere inferiore a quella fornita dalla fonte di energia racimolata. I supercap vengono usati negli energy harvester proprio allo scopo di accumulare corrente e renderla disponibile alla circuiteria di controllo.

I supercap sono dunque un componente abilitante per i sistemi di energy harvesting a condizione che abbiano i requisiti funzionali elettrici adeguati, come per esempio la serie SCC di AVX caratterizzati da elevata capacità e bassissimo ESR, oppure i TRJ professional tantalum capacitor con capacità fino a 1500 µF incapsulati in piccolissime dimensioni.

Alla base dell’Energy Harvesting

I trasduttori, cioè i dispositivi che consentono di trasformare un’energia fisica qualsiasi (meccanica, termica, luminosa, ecc.) in energia elettrica equivalente sono alla base dei sistemi di energy harvesting. Tali trasduttori, ove esistono, sono l’applicazione pratica di principi della fisica, come per esempio nel caso dei trasduttori termoelettrici: effetto Seebeck, per cui, un materiale sottoposto a un gradiente (differenza) DT di temperatura ai suoi estremi, sviluppa una differenza di potenziale elettrico DV.

Numerose sono le proprietà fisiche che portano alla trasformazione di energia fisica qualsiasi in energia elettrica, consentendo di ottenere un’ampia famiglia di trasduttori idonei alla implementazione di energy harvester:

• Seebeck;

• Piezo;

• Tribo (Scambio di elettroni tra materiali diversi a contatto);

• Inerziale;

• Fotoelettrico;

• Capacitivo;

• Elettromagnetico.

Per ognuno di questi principi fisici di trasduzione sono stati realizzati dispositivi elettronici di trasduzione che realizzano il componente base per racimolare energia dall’ambiente e renderla disponibile ad un circuito elettronico di regolazione che consente di gestire la carica di un sistema di accumulo dell’energia elettrica: batteria ricaricabile o supercapacitore (supercap).

Nella prospettiva degli energy harvester, i supercapacitori sono più interessanti rispetto alle batterie ricaricabili in quanto capaci di elevati accumuli di energia in ridottissime dimensioni.

Le sorgenti di potenza elettrica utili all’harvesting sono caratterizzate da elevate impedenze interne che limitano la quantità di corrente trasferibile verso l’esterno (il sistema da alimentare). Vi è inoltre un altro problema da risolvere per gli energy harvester: l’alimentazione della circuiteria di controllo. L’energia consumata da tale circuiteria deve essere inferiore a quella fornita dalla fonte di energia racimolata. I supercap vengono usati negli energy harvester proprio allo scopo di accumulare corrente e renderla disponibile alla circuiteria di controllo.

I supercap sono dunque un componente abilitante per i sistemi di energy harvesting a condizione che abbiano i requisiti funzionali elettrici adeguati, come per esempio la serie SCC di AVX caratterizzati da elevata capacità e bassissimo ESR, oppure i TRJ professional tantalum capacitor con capacità fino a 1500 uF incapsulati in piccolissime dimensioni.

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