Nella tecnologia die-attach, un chip di silicio nudo è assemblato direttamente sul cs per mezzo di colla epossidica. Il collegamento elettrico avviene con dei micro conduttori in filo d'oro, di rame o di alluminio; viene poi incapsulato con un polimero per assicurarne la tenuta meccanica e preservarlo dalle contaminazioni dell'ambiente esterno.
Il ricorso alla tecnologia COB avviene tanto per le numerose applicazioni che richiedono una sostanziale riduzione di spazio e un aumento delle prestazioni e dell'affidabilità, quanto per una miriade di prodotti realizzati in elevati volumi ma con basso valore aggiunto (orologi digitali, termometri, trasponder e oggettistica promozionale). L'area di montaggio è di regola inferiore del 30% o 40% rispetto a quella richiesta per il montaggio dei componenti racchiusi in package.
Altri vantaggi derivanti dal suo utilizzo riguardano gli investimenti ormai contenuti tanto nell'allestimento dei processi produttivi quanto nella diminuzione dei costi dei chip. I sistemi e i materiali per questa tecnologia sono ormai collaudati essendo in uso da svariati decenni per la produzione di oltre il 90% dei circuiti integrati. Sono numerosi anche i supporti che possono ospitare il COB, che vanno dai circuiti stampati di tipo organico ai circuiti flessibili ai vetrosi. Un vantaggio operativo di questa tecnologia risiede nell'aumento della velocità dei segnali dovuto sia alla diminuzione del numero di connessioni che alla loro ridotta lunghezza, l'assenza di un package permette anche di aumentare il numero di connessioni possibili per unità di superficie.
Per quest'insieme di vantaggi il DCA è spesso ritenuta la più versatile delle tecnologie, inoltre il suo utilizzo facilita il ricorso ai chip custom (per esempio gli ASIC) in termini di costi, tempi di sviluppo e di consegna, ma anche in termini di riservatezza perché una volta coperto di resina epossidica il chip è totalmente anonimo. Per le quelle applicazioni in cui la potenza costituisce un problema per via della necessaria dissipazione termica, la soluzione è di più facile gestione potendo attaccare il chip a diretto contatto col dissipatore montato sull'altro lato della scheda. Il risultato è di avere un dispositivo ad alta potenza che commuta ad alta velocità e occupa uno spazio esiguo rispetto a un corrispettivo dispositivo racchiuso in un package. Per ottenere un collegamento affidabile delle interconnessioni è estremamente importante eliminare ogni possibile contaminazione dalla superficie delle piazzole su cui deve essere realizzato il giunto di saldatura. Non è necessario operare in una camera a classe particolarmente spinta, ma è necessario un ambiente pulito, sottoposto a controllo di temperatura e di umidità, dove le pareti siano almeno ricoperte da una speciale vernice antipolvere, l'aria sia filtrata in ingresso e l'ambiente sia leggermente in pressione rispetto all'esterno e tutto soddisfi le normative ESD. Dato che il corpo umano è una notevole sorgente di contaminanti organici è importante che gli operatori siano adeguatamente equipaggiati.
Il problema del CTE
Come avviene nei processi di packaging dei semiconduttori, l'assemblaggio COB deve sottostare a un processo ottimizzato per minimizzare l'influenza dell'effetto dovuto allo stress termico che può causare una diminuzione di affidabilità nel tempo. L'area di contatto tra la scheda e il die è normalmente il punto debole e incline alla delaminazione. I momenti critici sono quelli di curing (dopo il die attach e dopo il glob top). Il problema trae origine dalla differenza di coefficiente di espansione termica (CTE: coefficient of thermal expansion) dei materiali coinvolti. Il cte del silicio è circa 2,5-3 ppm/°C, quella di circuito stampato in FR4 multistrato varia da 16 a 24 ppm/°C mentre per una resina epossidica si va da 40 a 200ppm/°C. Lo stress dovuto alla differenza di CTE aumenta con l'aumentare della differenza dimensionale del die ed è attenuato dall'aumentare dello spessore della scheda e dello strato di resina epossidica. In fase di progettazione il modello matematico dell'andamento dello stress termico aiuta a determinare gli esatti spessori tanto dell'adesivo di ancoraggio del die che dell'incapsulante.
Dal wafer al die
Il percorso produttivo che conduce al COB parte dalla produzione del cilindro di silicio drogato da cui vengono tagliati i wafer che opportunamente lavorati con tecniche di fotoincisione si presentano con una matrice di chip identici, da singolarizzare con l'operazione di sawing (taglio); il numero dipende dalla loro dimensione e da quella del wafer. Tutte le operazioni sono condotte in camera bianca, sia con sistemi automatici che con macchine semiautomatiche. Ogni singolo componente ricavato prende il nome di die.
Nel processo di taglio automatico il contenitore dei wafer viene posto in macchina dove un wafer per volta viene convogliato nella zona di taglio per suddividerlo in singoli die. Per asportare i residui segue un getto ad acqua pressurizzata. Da un punto di vista della contaminazione si preferisce ricorrere al processo automatico che riduce al minimo il maneggio dei wafer. Ci sono diversi parametri critici da tenere sotto stretto controllo per garantire non solo la resa quantitativa, ma anche quella qualitativa.
La velocità di taglio, i cui valori variano da 2,5 a 3,5 in/sec, dipende dallo spessore del wafer il cui valore è generalmente 21 mil. La velocità di taglio è correlata con la velocità di rotazione della lama che varia da 62.000 a 65.000 giri/minuto. Questo parametro influenza la velocità relativa con cui la lama di taglio entra in contatto con la superficie del wafer, che è estremamente fragile e quindi suscettibile di danneggiamenti irreparabili. Un altro parametro critico da tenere sotto stretto controllo è l'altezza relativa della lama rispetto al piano di supporto del wafer. Il wafer è posizionato sopra un foglio di PVC adesivo di colore blu da cui il caratteristico nome di blu tape. Un minimo errore nella impostazione di questa altezza e oltre al wafer si taglierebbe anche il nastro rendendo il tutto inutilizzabile.
Durante il taglio viene sviluppato calore che deve essere accuratamente rimosso con un sistema di raffreddamento della lama. Vista la delicatezza dell'operazione e la fragilità del materiale lavorato, diventa inevitabile che a volte si producano danneggiamenti su una o anche ambedue le facce del chip. Una scheggiatura (chipping) del lato superiore del componente, quello con la superficie attiva, può irreparabilmente danneggiarlo. La velocità relativa lama-wafer, detta surface speed, è quella che più incide nell'insorgere di questo genere di difettosità.
La stessa difettosità sull'altro lato non è così pregiudizievole in quanto è il lato che va saldato al substrato, non è comunque da sottovalutare perché qualsiasi piccola crepa può essere ampliata nelle lavorazioni successive (con l'uso degli ultrasuoni nel wire bonding). La riduzione della dimensione dei die comporta un aumento del loro numero sulla superficie del wafer. Una distanza tipica tra i chip varia da 4 a 6 mil con la progressiva tendenza a ridursi tra i 3 e i 2 mil. La larghezza del taglio deve aggirarsi tra 1 e 1,5 mil. La riduzione dello spessore del wafer induce potenzialmente il chipping sul lato inferiore (quello non fotoinciso) per via dello stress subito dal silicio durante il taglio. E' sempre più comune l'utilizzo della doppia lama che riducendo il carico di lavoro ne aumenta la durata e l'efficienza. In pratica una prima lama apre la strada mentre una seconda completa a seguire il lavoro, Il risultato è quello di contenere di molto il danneggiamento del wafer.
Die bonding
Il montaggio dei die sul substrato, qualunque ne sia la natura, può avvenire con sistemi automatici, semiautomatici e manuali. La macchina può essere una pick and place o una die placer composta da una stazione dispensatrice di colla e da una stazione di presa e posa dei die che manipola un solo tipo di componente od ospitare diversi wafer o di waffle pack per montare tipi diversi di chip. E' presente un sistema di trasporto del substrato che lo movimenta attraverso le stazioni operative sino all'uscita dalla die placer. Il sistema di visione riconosce il die ed eventualmente ne corregge la posizione. Per i chip disposti su wafer, la telecamera è abilitata alla lettura del bad mark (segno di die difettoso) che quando trovato, attiva il comando di non prelievo. Nei waffle pack si trovano i die che hanno già passato la fase di sorting, cioè la fase in cui vengono scelti quelli buoni, tralasciando i difettosi sul blu tape. Quando si preleva direttamente dal wafer è richiesto che il blu tape sia leggermente stirato per separare i die tra loro quel tanto che basta al sistema di visione per identificare ogni singolo chip, ciò è utile anche nel momento del prelievo per evitare che i chip sfreghino tra loro e si scheggino.
Un secondo sistema di visione è dedicato alla stazione di dispensazione e all'individuazione della piazzola dove depositare la colla e piazzare il die. Quando l'operazione di bonding non è eseguita con colla epossidica, ma con preforming di stagno, la stazione punto colla è sostituita con una atta a piazzare i preforming. In alcune lavorazioni si utilizza la serigrafia sia per depositare la colla.
Dopo che la colla è stata dispensata il sistema di visione riconosce il die, una testa munita di ugello aspirante vi plana sopra mentre una seconda testa munita di aghi (ejector) si posiziona sotto la pellicola adesiva in corrispondenza del chip da prelevare per facilitarne il distacco. Ugello aspirante e aghi lavorano all'unisono, in una operazione delicata in quanto, se non viene rispettato il sincronismo tra aspirazione e spinta, si corre il rischio di frantumare il chip o di disallinearlo grossolanamente.
Di volta in volta viene prelevato dal wafer il chip più vicino al substrato per evitare che residui di silicio derivanti da lavorazioni precedenti vadano a cadere sugli altri die contaminandoli. Il piazzamento del die sul substrato deve essere accurato per non introdurre problemi che vadano a pesare sulla fase seguente di wire bonding. Durante la posa il die è premuto sulla colla con il triplice intento di far fuoriuscire eventuali inclusioni d'aria (evitando la formazione di voids che indebolirebbero meccanicamente la giunzione), determinare la corretta altezza dello strato di collante sotto il chip (bondline) e conferire la corretta altezza del cordulo di collante che sporge da sotto il die lungo il suo perimetro (fillet). Il deposito di un eccessivo volume di colla o una pressione troppo alta del die possono provocare la risalita del collante lungo le pareti del chip sino alla sua superficie contaminandolo e pregiudicando la riuscita del wire bonding. Nel caso di chip di grosse dimensioni può essere necessario promuovere un loro leggero spostamento avanti e indietro (scrubbing) per aiutare il collante a espandersi in modo omogeneo tra pad e chip. Compiute queste operazioni il substrato esce diretto al forno per la polimerizzazione del collante, così da fissare il die al substrato per poi procedere al wire bonding.
Wire bonding
È questo lo stadio intermedio di lavorazione, in cui si devono formare i collegamenti elettrici tra die e substrato.
L'utilizzo di sistemi di wire bonding a elevato contenuto tecnologico è fondamentale tanto quanto l'utilizzo di capillari di elevata fattura per ottenere un processo di qualità, affidabile e riproducibile. Per realizzare le interconnessioni si utilizzano due processi, il ball bonding e il wedge bonding. Il primo è largamente utilizzato nella produzione di connessioni di segnale mentre il secondo trova più frequente applicazione nei dispositivi di potenza. La ragione risiede nell'area richiesta per realizzare il giunto di saldatura, decisamente più contenuta nel caso del ball bonding. Tra le applicazioni del ball bonding, realizzato con filo d'oro, troviamo il COB (con le sue varianti su supporti flessibili e vetrosi), il TAB (tape automated bonding), e alcuni FLIP CHIP (per la creazione dei bump). Il filo di alluminio è utilizzato soprattutto nell'esecuzione di wedge bonding. Ultimamente sono in aumento anche le applicazioni con connessioni in rame. Il problema riscontrato è relativo all'affinità all'ossidazione, fenomeno che si manifesta specialmente durante la fase di fusione che porta alla formazione della pallina.
La saldatura ball bonding è un processo che utilizza sia energia termica che l'energia generata dagli ultrasuoni, con termine inglese è definito termosonic bonding process.
Il filo scorre all'interno del capillare che è collegato a un trasduttore di ultrasuoni; sulla sua estremità libera viene scoccata una scintilla che forma la pallina. L'energia generata dagli ultrasuoni è convogliata dal capillare sulla pallina, che è premuta con forza contro il pad (il substrato col die sono in temperatura) per creare quella giunzione intermetallica che garantirà la tenuta meccanica e la connessione elettrica.
Il capillare è un utensile cilindrico in materiale ceramico, con l'estremità inferiore variamente lavorata in funzione della geometria del giunto desiderato. Il filo vi entra dall'alto e lo percorre in lunghezza uscendo dal foro inferiore svasato. Ciò permette di lavorare in modo simmetrico a 360° attorno al die. Durante la formazione della saldatura sulle piazzole e durante il percorso del filo tra i pad del die e quelli del substrato (looping), il controllo è tenuto dalla testa di bond e dalla geometria del capillare.
Fattori di influenza
La riuscita dell'intera operazione è influenzata da diversi fattori tra i quali la temperatura a cui giunge il substrato, il valore degli ultrasuoni, la pressione, il tempo di esecuzione, la velocità, la pulizia e la planarità dei pad, il filo e la geometria della sfera. Buona parte di queste variabili entra a costituire i parametri di impostazione della macchina, parametri impostati in conformità alla tipologia del capillare utilizzato. Come in tutti i processi produttivi, la corretta impostazione dei parametri determina la finestra di lavoro, e la loro scelta è fortemente condizionata dall'esperienza dell'operatore. Quando il capillare si ritrova nella posizione di partenza, l'estremità del filo che ne fuoriesce si trova in prossimità di un elettrodo che lascia partire una scarica elettrica (flame off) portandolo a fusione. La contrapposizione tra la tensione superficiale dell'oro e la forza di gravità porta alla formazione della pallina che solidifica velocemente (free-air ball) permettendo di iniziare il ciclo. La sequenza operativa prevede il posizionamento del capillare sulla piazzola del die. La pallina è formata e durante la discesa del capillare viene richiamata nel suo svaso.
Quando la pallina è a contatto col pad, il generatore di ultrasuoni gli trasmette la sua energia tramite il capillare. Simultaneamente la pallina si trova sottoposta sia a pressione (esercitata dalla testa di bonding) sia all'energia meccanica trasmessa dal capillare, che lavorando congiuntamente producono la formazione del giunto di saldatura. Il capillare si solleva lasciando scorrere il filo al suo interno, la ricchezza di filo serve a disegnare il percorso (loop) della connessione tra il primo pad (sul die) e il secondo (sul substrato). In questa parte del processo una delle variabili principali è l'altezza del chip rispetto al substrato o meglio l'altezza relativa tra la piazzola di partenza e quella di arrivo. Quando il capillare col filo ridiscende sulla seconda piazzola, il substrato si trova ancora in temperatura. In questa fase è direttamente il filo a essere premuto sulla piazzola, dove viene deformato a opera degli ultrasuoni sino a compenetrare il pad formando il giunto (stich bond). Si aprono le pinze che bloccano il filo e il capillare risale lasciando scorrere il filo al suo interno. La parte di filo che fuoriesce dal capillare mantiene ancora un collegamento, detto coda, con la piazzola. La lunghezza della coda viene definita, previa programmazione, dalla corsa di risalita del capillare. Raggiunta la lunghezza desiderata le pinze si richiudono bloccando il filo, il capillare risale e il filo viene tranciato per stiramento all'altezza della piazzola. Il controllo accurato della lunghezza della coda è fondamentale per poter ricominciare l'intero ciclo. La scarica denominata electric flame-off può essere sia positiva che negativa. Nel primo caso viene caricato il filo negativamente e l'elettrodo positivamente, è una tecnologia relativamente semplice che non richiede un'elettronica sofisticata, ma l'area di plasma che si crea nel momento della scarica avviluppa completamente la pallina e arriva a lambire il capillare usurandolo abbastanza velocemente. La scarica di flame-off negativa richiede un'elettronica di controllo più sofisticata essendo più difficile controllare la formazione della pallina. L'elettrodo è caricato negativamente e il filo positivamente, ciò produce una zona di plasma che avvolge solo la semisfera inferiore. Ci sono due grossi vantaggi: non si danneggia il capillare in seguito all'area di lavoro del plasma e si riduce la zona di ricristallizzazione del filo al di sopra della pallina. Una estesa ricristallizzazione indebolisce il filo che in quella zona è soggetto a stress meccanico in quanto è da lì che inizia la formazione del loop.
Il Glob Top
Dopo aver montato il die sul substrato e aver eseguito i collegamenti elettrici, il passo successivo è quello di proteggere l'insieme da danneggiamenti sia fisici (la rottura di una connessione o l'accostamento di due fili fino a produrre un cortocircuito) sia ambientali (umidità, polvere o agenti chimici). Componente e collegamenti vengono inglobati in una resina epossidica che dimensionalmente ricopre un'area di poco superiore all'insieme da proteggere.
Tecniche di incapsulamento
Tre sono le tecniche di incapsulamento utilizzate: il Glob-top, il Dam-and-fill e il Cavity-fill. Il Glob-top è il più collaudato e il più diffuso sistema di rivestimento protettivo. La resina epossidica viene fatta fluire direttamente da una siringa o mediante una valvola volumetrica fino a ottenere la completa copertura del die. È molto importante che all'interno del rivestimento non rimangano incluse bolle d'aria. Substrato, componente, filo e piste hanno differenti coefficienti di espansione termica. La presenza di una bolla d'aria darebbe agio a uno degli elementi di potersi dilatare in modo anomalo rispetto agli altri e come conseguenza potrebbero crearsi dannose fratture. La resina utilizzata per l'incapsulamento è un agglomerante ottimale avendo un coefficiente termico di espansione si soli pochi ppm/°C. La resina, opportunamente miscelata e degasata, viene conservata a temperature molto basse e richiede circa un'ora per essere portata a temperatura ambiente per essere utilizzata. Essendo confezionata in normali siringhe, risulta agevole riscaldarla per ridurne la viscosità, fluidificandola, per favorire la dispensazione. Anche in questa fase il substrato viene riscaldato a temperature variabili tra 70°C e 100°C. La tecnica Dam-and-fill è utilizzata nel caso di dispositivi ad alta densità di connessioni, dove il flusso di incapsulante deve essere attentamente controllato. Permette una migliore penetrazione tra e sotto i fili e a ridosso del die.
Per operare sono necessarie due pompe, una per la resina ad alta viscosità e una per una seconda resina molto più fluida. Anche in questo caso ci si avvale dell'ausilio della temperatura per meglio controllare la viscosità. La resina ad alta viscosità viene dispensata per prima, tracciando un cordolo attorno all'area da ricoprire. Si crea in questo modo una diga all'interno della quale la seconda pompa deposita la resina più fluida che va a riempire ogni interstizio all'interno della diga sino a totale copertura del die e dei fili di connessione. Il movimento della seconda pompa è a guisa di spirale che dai bordi interni della diga si restringe verso il centro del die. Il Cavity-fill è una variante del caso precedente in cui si distribuiscono due diversi strati di copertura. E' utilizzato quando il die è posto all'interno di una cavità e ha un'alta densità di connessioni. Il requisito più importante è fare in modo che non rimangano intrappolate bolle d'aria, risultato abbastanza difficoltoso da ottenere nelle immediate adiacenze del chip posizionato in fondo alla cavità. Anche in questo caso il percorso della pompa è una spirale che dalla periferia si porta al centro del componente. Vengono depositati due o più strati a seconda delle necessità.
Qualunque sia la tecnica di incapsulamento adottata, il substrato viene messo in forno per la polimerizzazione, operazione che conferisce alla resina il suo stato finale di elemento protettivo.