La scoperta all’interno di armamenti russi di componenti ufficialmente oggetto di sanzioni porta alla ribalta il problema del controllo delle filiere complesse e i relativi punti deboli.
Tra le situazioni critiche venute alla ribalta durante l’invasione della Russia all’Ucraina, emergono alcuni aspetti legati alla filiera in generale e a quella della tecnologia in particolare. Per certi versi, decisamente preoccupanti.
La globalizzazione, intesa come capacità di produrre oggetti in qualsiasi luogo del Pianeta, procurandosi i componenti come preferito indifferentemente da distanza e provenienza, e rivendendoli ovunque ci sia domanda, significa anche un controllo limitato sulla destinazione finale delle materie prime.
Quanto tutto questo possa rivelarsi controproducente diventa sempre più evidente ogni giorno. In pratica, negli armamenti e negli strumenti utilizzati anche dall’esercito invasore, sono numerosi i componenti prodotti da aziende che ufficialmente hanno troncato ogni rapporto e fornitura con la Russia.
Filiere difficili da tracciare
L’allarme è scatto quando su un drone utilizzato dai sistemi russi è stato trovato un chip Marvell, ufficialmente mai venduto dall’azienda ad alcuna azienda militare ex sovietica. Un componente di poco conto, dal valore di pochi dollari e prodotto oltre una decina di anni fa. Il chip incriminato era arrivato però al destinatario attraverso una serie di rivenditori asiatici, dei quali non è facile anche solo individuarne l’esistenza e la natura dei commerci. È questo un esempio di quanto succede oggi regolarmente. Se per i grandi componenti, quelli più costosi e sofisticati, il canale di vendita diretta favorisce anche la tracciabilità, per quelli più piccoli (e più numerosi), l'analisi delle filiere complesse diventa un’impresa praticamente impossibile.
Secondo una ricerca Reuters (https://www.reuters.com/technology/chip-challenge-keeping-western-semiconductors-out-russian-weapons-2022-04-01/), infatti, solo quest’anno la stima nella consegna complessiva di microchip raggiungerà quota 578 miliardi di pezzi. Il 64% di loro, comuni elementi prodotti in serie.
Il contributo diretto della Russia in questo caso è decisamente limitato. Si parla infatti solo dello 0,1%. Tutto il resto, quindi arriva in qualche modo dall’estero.
D’altra parte, come spiega sempre alla Reuters Damien Spleeters, vice direttore operativo della UE, spesso i componenti venduti alla Russia erano utilizzati su dispositivi, tra cui proprio i droni, in origine del tutto innocui. Con buona probabilità, solo in un secondo tempo trasformati in armi, come dimostrato da diversi ritrovamenti sul campo.
Non si parla naturalmente solo di Marvell. Il discorso riguarda anche Intel, NXP, Analog Devices, Samsung Electronics, Texas Instruments, e ST Microelectronics. Come facile prevedere, tutti pronti a dissociarsi. Se NXP e Analog Devices si sono però astenuti da qualsiasi commento, Intel si è comunque dichiarata contraria all’utilizzo delle proprie tecnologie in violazione dei diritti umani. Samsung si è spinta oltre, affermando di non produrre chip per uso militare.
La recente serie di sanzioni ha reso più difficile per la Russia l’approvvigionamento di elettronica. D’altra parte, il controllo della filiera globale appare un’impresa ardua. Inoltre, buona parte del materiale passa dalla Cina, difficile da considerare del tutto estranea alla vicenda.
Importante è ricordare anche come sugli strumenti militari si usino raramente componenti dell'ultima generazione. In genere infatti, si preferisce affidarsi a quelli più datati. Certamente, con minori prestazioni, ma molto più affidabili.
Una lezione per il futuro
Come capita spesso in situazioni del genere, è già possibile ricavare alcune indicazioni interessanti. Per esempio è la proposta dell’ex chairman di Google, Eric Schmidt, di inserire in ogni chip una sorta di carta d’identità in parte pubblica e in parte privata accessibile solo da addetti ai lavori.
Oppure, l’idea Marvell di estendere la portata di tecnologie ormai già diffuse come strumenti di riconoscimento impronta digitale e il tracciamento completo. Sul tema si è già messa al lavoro anche la Global Semiconductor Alliance, proprio per la messa a punto di una procedura standard mirata a tenere traccia di ogni singolo chip e tenere monitorate quanto possibile tutte le filiere complesse relative. Resta da risolvere la questione dei componenti più economici, i cui costi inciderebbero in misura troppo pesante fino al momento in cui non si riuscisse a intervenire direttamente