Ingegneri elettronici cercasi

Nata nel 1999 dalla decisione di Siemens di scorporare le attività nel settore dei semiconduttori, Infineon occupa la tredicesima posizione nelle classifiche dei produttori di dispositivi integrati compilate da IC Insights, una delle più affidabili società di ricerca che seguono l'andamento del mercato dei chip. Il 2103 è stato un anno positivo, con un volume di affari aumentato del 7%. Circa 27.000 dipendenti in tutto il mondo, stabilimenti di front-end concentrati soprattutto tra Austria e Germania con una linea anche in Malesia, 21 unità di Ricerca e Sviluppo e un fatturato di circa 5,3 miliardi di dollari: questi sono i numeri principali di Infineon. Le aree strategiche in cui la società ha deciso di crescere sono tre: efficienza energetica, mobilità e sicurezza. In Italia, dispone da tempo di un centro avanzato di progettazione, ricerca e sviluppo: 2.200 metri quadrati con sei diversi laboratori, attrezzature per il collaudo e la caratterizzazione di blocchi di proprietà intellettuale e di dispositivi microelettronici. Ne parla Giorgio Chiozzi, che lo dirige fin dalla sua nascita, nel 2001.

• Di cosa si occupa il centro di R&S Infineon di Padova?

La maggior parte dei nostri studi e sviluppi si rivolgono a un segmento di mercato preciso e ben identificato: le soluzioni elettroniche per l'automobile. Realizziamo soprattutto progetti di dispositivi per la gestione dell'energia, la conversione energetica ad alta efficacia. Componenti per alimentatori che consumano poco e, per esempio, riducono gli sprechi in stand-by. Ci occupiamo anche di strumenti per la caratterizzazione e la qualifica di nuove soluzioni, sempre nell'ambito dell'energia. Siamo specializzati in regolatori di tensione lineari e convertitori Dc/Dc ad alta efficienza: dispositivi che permettono di ridurre i consumi. Ci occupiamo anche delle tecnologie per le memorie non volatili dei controllori: eseguiamo, tra l'altro, una intensa attività di caratterizzazione con l'obiettivo di migliorare le prestazioni e aumentare la producibilità. Da Padova sono usciti 160-170 prodotti entrati poi stabilmente nel catalogo di Infineon e venduti in tutto il mondo. Abbiamo un portafoglio di circa 150 brevetti, concepiti nel nostro laboratorio. Siamo un centro di eccellenza mondiale per la nostra società. Veniamo regolarmente paragonati ad altre organizzazioni come la nostra, che operano ai quattro angoli del mondo, sulla base di una serie di parametri quantitativi molto precisi. Da questi confronti usciamo sempre con ottimi risultati. Padova è certamente un fiore all'occhiello per Infineon, e non solo.

• State crescendo, oppure la crisi colpisce anche voi?

Oggi siamo circa un centinaio di persone. Ma siamo in forte crescita. Abbiamo una ventina di posizioni aperte che prevediamo di riempire nel 2014. Siamo alla ricerca di ingegneri elettronici che ci permetteranno anche di entrare in nuovi ambiti: per esempio, i moduli e i sottosistemi di potenza. Il background per così dire "obbligatorio" per i candidati è una laurea specialistica in ingegneria elettronica con specializzazione in microelettronica. Siamo alla ricerca soprattutto di competenze nell'elettronica di potenza, progettazione di circuiti analogici e digitali, utilizzo di strumenti di simulazione analogica o digitale, utilizzo delle principali apparecchiature di laboratorio. Non vogliamo geni o pensatori da torre d'avorio, bensì menti flessibili e curiose, capaci di portare novità e contribuire a una missione aziendale che fa delle risorse umane il pilastro portante.

• Come è nato il centro di Padova?

Ho iniziato la mia carriera professionale lavorando in ST, come esperto di amplificazione audio. Poi, nel 1997, mi sono trasferito a Villach, in Austria, presso una piccola azienda che ha iniziato a collaborare molto attivamente con Siemens. Eravamo un gruppetto di tecnici e ingegneri italiani. Quando si è trattato di trovare una collocazione definitiva per il nostro centro, che ormai era completamente integrato nell'organizzazione di Siemens (diventata, nel frattempo, Infineon) non ce la siamo sentiti di restare in Austria. Diciamo anche che le nostre fidanzate e mogli ci hanno dato una mano a fare la scelta giusta e rientrare nel Bel Paese. La scelta è caduta su Padova per diversi motivi: logistici, ma anche e soprattutto per la presenza nella regione limitrofa di alcune università con le quali abbiamo aperto un serio, concreto e fruttuoso lavoro comune.

• Quanto è importante per voi il rapporto con l'università?

Fondamentale. Innanzitutto l'università ci fornisce i giovani talenti, le persone brillanti che ci servono per continuare a crescere e innovare. Devo dire che, da questo punto di vista, ho un'ottima opinione delle università italiane. Hanno competenze assolutamente avanzate e sono in grado di formare una classe di ingegneri di prim'ordine. Gli italiani, poi, hanno nel loro bagaglio culturale la capacità intrinseca di lavorare su obiettivi anche molto stimolanti, di esprimere un grande genialità individuale. Forse non siamo molto abituati a lavorare in gruppo… ma questo si impara. Oltre a essere una miniera di giovani capaci e volenterosi, le università ci mettono a disposizione un know-how importante sul quale facciamo leva. Abbiamo stretti rapporti di collaborazione con Padova, Ferrara, Roma, Bologna. Troviamo terreno molto fertile e una grande voglia di contribuire all'innovazione industriale.

• Avete anche rapporti con il tessuto industriale italiano?

Ormai l'Italia non è più la patria delle grandi industrie capaci di fare davvero innovazione. Questo è un grande problema. L'università, la ricerca accademica, fa del suo meglio in un contesto veramente difficile. Quando il panorama industriale si dissolve come ormai è capitato in Italia, non esistono possibilità reali e concrete di fare trasferimenti tecnologici, di attivare una collaborazione bidirezionale tra ricerca e industria. La mancanza della grande impresa fa venire meno un input fondamentale. La ricerca, per non girare a vuoto ed essere fine a se stessa, deve essere pilotata e indirizzata dall'impresa. In Italia questo capita sempre meno. Forse si potrebbe chiedere all'università di cercare di creare un collegamento più stretto con il territorio, affrontando temi e argomenti più immediatamente fruibili dal tessuto industriale locale. La mancanza della grande impresa però si fa sentire. Nel settore dei semiconduttori l'unica industria che è rimasta è ST, che non sta navigando in buone acque. Lo ripeto, la situazione è difficile.

• Voi state crescendo, continuate ad andare bene.

Noi non ci rivolgiamo a un mercato locale. Siamo un centro di progettazione per il settore globale dell'automobile. Magneti Marelli, uno dei principali attori italiani del settore, per noi non è un interlocutore preferenziale per il solo fatto di essere italiano. Non siamo strettamente legati alla realtà industriale italiana.

• Prospettive future?

Buone, per noi. Attingiamo da un bacino di competenze universitarie e da un mercato del lavoro dove troviamo ciò che ci serve, e con qualità elevata. Ci stiamo ingrandendo, anche se siamo inseriti in un contesto industriale locale che sta soffrendo.

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