L’inversione delle rotte geo-economiche – audio editoriale SdE, feb 2023

È voce di qualche giorno fa che, entro l’anno 2024-2025, l’Italia riuscirà ad affrancarsi definitivamente dalla dipendenza dal gas russo. Gli sforzi compiuti dall’Occidente negli ultimi mesi per ovviare ai gravi errori del passato, come quello della dipendenza energetica da un solo (o quasi) fornitore, hanno portato certamente a risultati di rilievo, ma anche a un cambiamento progressivo della mentalità logistica globale. E questo è, forse, l’aspetto più importante. 

La fibrillazione dei mercati a cui siamo andati incontro l’estate scorsa a seguito delle minacce russe contro le sanzioni imposte dall’Occidente, i folli aumenti del costo del gas, le prospettive di gelidi inverni a temperature artiche e con la produzione industriale in ginocchio sono a poco a poco evaporati, lasciando il despota russo con un palmo di naso, impantanato con i suoi soldati in un conflitto da cui, al momento, non sembra esserci via d’uscita. Certo è che, oltre al fatto di esserci ingegnati per ovviare a una situazione velenosa come quella del ricatto russo sul gas naturale, dobbiamo dire grazie a una serie di eventi favorevoli, quasi fossero un infausto e meritato karma per il signore del Cremlino. Una serie di situazioni però che hanno consentito non solo di parare i colpi e le minacce provenienti da Mosca, ma di guardare agli anni futuri con un qualche ottimismo in più anche nei confronti di altri diretti fornitori. 

È il caso questo della fortunosa scoperta del giacimento di Per Geijer in Svezia da parte della società mineraria LKAB, una miniera che conterrebbe non meno di un milione di tonnellate di ossidi di terre rare (REE). Sarebbe questa una quantità capace di soddisfare gran parte della futura domanda europea di REE per la produzione di microprocessori e batterie, ma anche di motori elettrici (domanda che aumenterà di dieci volte entro il 2050) e ideale per agevolare la tanto agognata transizione ecologica globale.

Una gran prospettiva, se pensata nell’ottica che il 98% dell’attuale approvvigionamento di terre rare in UE arriva dalla Cina (dato del 2021); un monopolio questo che consente di ritoccare prezzi e quantità e – eventualmente – di minacciare blocchi delle forniture in caso di tensioni internazionali. Il giacimento svedese consentirebbe quindi un’inversione della rotta geo-economica di questi elementi, svincolando progressivamente l’Europa dal monopolio cinese. Si parla al condizionale perché qui rientrano i problemi di tempo: non tanto quelli necessari per approntare le strutture di estrazione, ma i tempi d’autorizzazione, i maledetti vincoli burocratici che, ad ogni livello, invischiano qualsiasi buon proposito di sviluppo. Si parla di 10-15 anni. Troppi considerata la velocità a cui si muove il mondo in cui viviamo.

Cosa significa tutto ciò? Nient’altro che l’ultimo atto – in temini di tempo – di quel lungo braccio di ferro fra Cina e Stati Uniti di cui abbiamo diverse volte parlato e che serve a contenere quell’ambizioso progetto cinese denominato “Made in China 2025”. Quest’ultimo è un progetto che si basa su tre colonne portanti: la Cina come punto di riferimento mondiale per la produzione di semiconduttori, la sua presenza sempre più massiccia nelle attività finanziarie nel settore e, infine, la crescita, in termini di catena del valore, ottenuta dalle tante manovre di acquisizione, assimilazione e creazione ex novo di realtà industriali, supportate da un gran numero di ingegneri dalla brillante formazione. Tutto ciò per semplificare al massimo una situazione che definire complessa è veramente poco.

La manovra americana, che continua a consolidare le basi per il sistema di contenimento economico e strategico cinese nel settore elettronico, si basa sulla consapevolezza che – in un ambito così tanto diversificato, ma così strettamente connesso, come quello della produzione avanzata di semiconduttori – ci vogliano non solo anni per colmare il gap tecnologico, ma anche quantità finanziarie immense e, soprattutto, competenze produttive che, strategicamente parlando, non si riescono a replicare in tempi brevi.

Tanto per fare un esempio, l’olandese ASML (questo è il motivo del coinvolgimento dell’Olanda nella mossa di cui ha parlato Bloomberg) produce la macchina tecnologicamente più complessa (e fra le più costose) della storia umana. Si tratta di un sistema da quasi 200 milioni di euro capace di produrre, mediante un uso particolare di tecnologie litografiche avanzatissime, qualsiasi tipo di microprocessore avanzato in produzione in questo momento.

È vero che se i cinesi entrassero in possesso di tale macchina non riuscirebbero a replicarla con facilità. Ma siamo sempre alle solite: non si tratta di capacità tecniche o economiche, ma di esperienza e di tempo, e la prima è legata strettamente al secondo. Magari il progetto “Made in China 2025” sarà destinato a fallire, ma – nel tempo – altri progetti seguiranno e il contenimento sarà sempre più difficile.

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