Nel giro di pochi giorni, sono letteralmente andati a monte processi e accordi per la fornitura di materie prime. Ecco una breve analisi del problema.
Anche quando la guerra dichiarata dalla Russia all’Ucraina potrà essere archiviata, le conseguenze rimarranno visibili a lungo, nei rapporti internazionali come nel mondo della produzione e inevitabilmente dell’elettronica in particolare. Tra le prime conseguenze da affrontare, sarà il prepararsi a gestire scenari completamente diversi, rivedere al più presto processi e catene di fornitura, probabilmente con pochi elementi di riferimento, mettendo in campo tutta l’esperienza disponibile, con un pizzico di azzardo.
In particolare, le ripercussioni sulle materie prime determineranno processi e strategie del tutto inedite rispetto a quelli adottato per anni, al punto da apparire scontati. La diffidenza verso la Russia come partner commerciale è destinata a durare a lungo e di riflesso; anche i rapporti con la Cina saranno con buona probabilità riconsiderati.
Materie prime: all’inseguimento di nuove idee
Argomenti fino a poco tempo fa considerati progetti a lungo termine dovranno essere rivisti in tempi decisamente più brevi. Giusto per citare un esempio, quando pochi mesi fa Ugo Cominelli di 2C Ecologia illustrava l’utilità di realizzare, non solo in Italia, impianti per il recupero delle terre rare dai materiali di recupero, poteva sembrare un’idea per un futuro ancora da inquadrare. Oggi è chiaramente una priorità.
Se anche i tempi della risoluzione del conflitto dovessero essere brevi, le sanzioni contro la Russia sono destinate a durare a lungo. Tra queste, l’impatto sul settore dei semiconduttori è importante. A partire dal divieto dell’importazione nell’UE di beni di varia natura, alla decisione dell'Organizzazione mondiale del commercio (WTO) di negare ai prodotti e servizi il trattamento di "nazione più favorita" nei mercati dell'Unione, così come è stato annunciato dai membri del G7.
Sono solo alcune delle restrizioni imposte alla Federazione russa da un’Unione europea mai stata così compatta. A questo va aggiunto uno dei vincoli più importanti imposti dall'UE: il divieto d’importazione per prodotti siderurgici attualmente soggetti alle misure di salvaguardia dell'Unione. Misura che infliggerà perdite pari a circa 3,3 miliardi di euro per le esportazioni russe. Il tutto seguito da un aumento delle quote d'importazione da Paesi terzi per compensare il mancato arrivo di quei prodotti verso l'Unione Europea. Insomma, così come per il gas, i metalli saranno da cercare altrove.
Prezzi e disponibilità, la morsa delle materie prime
Se già nei mesi precedenti la situazione era delicata, ora sta diventando decisamente critica per il mercato delle materie prime. Il prezzo del nickel – elemento fondamentale oltre che per l’industria siderurgica, anche e soprattutto per quella delle batterie elettriche – è passato dal 23 febbraio al 7 marzo, dai 24.282 dollari per tonnellata ai 48.078, per poi schizzare il giorno dopo a quota 80.000 dollari (con una crescita in termini percentuali del 229%).
Solo uno dei tanti esempi, dove tra reali problemi o quella sorta di psicosi in situazioni del genere (non senza una dose di opportunismo come ha insegnato la vicenda dei carburanti), l’unica certezza è un aumento di costi difficile da sostenere.
Per non perdersi però tra voci, minacce e speculazioni, vale la pena di provare a fare un’analisi dettagliata dei singoli componenti legati in qualche modo alla filiera dell’elettronica.
Gas
A partire naturalmente dal gas, utilizzato a diverso titolo in svariate situazioni e per questo, probabilmente, il più discusso. Inglesi e americani non hanno esitato a chiudere ufficialmente i rapporti di fornitura energetica con la Russia di Putin. Più in difficoltà per problemi di dipendenza, la UE è comunque intenzionata ad applicare un progressivo taglio dell’import. Si parla di due terzi del totale entro la fine del 2022. Tutto ciò mentre i dazi sul gas e sul petrolio russo sono rimasti invariati e le sanzioni imposte dall’Occidente al momento di scrivere non toccano la Gazprombank, la banca d’affari emanazione della Gazprom, gigante dell’energia da cui in Europa si compra il gas.
Neon
Fondamentale per l’industria dell’elettronica, il neon è essenziale negli strumenti laser. Una storia questa che si ripete. Quando la Russia ha annesso la Crimea nel 2014, i produttori di chip in tutto il mondo erano ancora più dipendenti dall'Ucraina di oggi. Il Paese sotto attacco è infatti tra i principali fornitori mondiali di neon e allora era responsabile della fornitura di circa il settanta per cento del gas nobile. Per farsi un’idea delle prospettive, nel 2014-2015 i prezzi registrarono un boom addirittura del 600%.
In questo caso, oltre alla materia prima, ci sono altre considerazioni importanti da fare. L’ossessione della Russia per la Crimea non è necessariamente soltanto militare. Nella penisola ha sede infatti la Cryoin, tra i principali produttori di gas rari, ora ferma. Il processo di estrazione del neon consiste in una vera e propria catena di montaggio e le imprese siderurgiche in Russia sono in grado di farlo, come in effetti succedeva. Lo imbottigliano e lo vendono come greggio. L'industria del settore in Ucraina venne costruita proprio per sfruttare questi gas sottoprodotti della produzione russa di acciaio.
Nickel
Il 5,35% del nichel è prodotto nel Paese. L’azienda russa di maggiore peso nel settore del nickel è la Norilsk Nickel, che rappresenta circa il 63% del consumo stimato nel 2020, secondo gli analisti di Natixis. Un produttore non ancora toccato dalle sanzioni internazionali e guarda caso, anche massimo esportatore russo di un altro elemento fondamentale per la produzione di semiconduttori: il palladio.
Palladio
È questa la a situazione forse più delicata, dal momento che la Russia copre il 40% della domanda mondiale. La volatilità dei prezzi di questo elemento preoccupa gli analisti del settore, con aumenti nelle ultime settimane non inferiori al 25% (la metà marzo ha toccato il tetto di 3.441 dollari l’oncia). Al di là dell’utilizzo nell’industria dei semiconduttori, il palladio è fondamentale anche per le case automobilistiche, che ne consumano circa l'85% della fornitura per la realizzazione dei convertitori catalitici usati con i motori a benzina. L’Occidente sta cercando un’alternativa in vista di una potenziale chiusura dei rubinetti nelle forniture russe di materie prime. Il platino potrebbe essere la soluzione. Sebbene la Russia sia il secondo produttore al mondo anche di questo metallo, il suo peso conta solo per il 13% del totale, comportando un rischio minore per le forniture.
Platino
La Russia garantisce il 15% degli approvvigionamenti mondiali di platino, anche questo utilizzato per le auto ma anche dall’industria chimica, così come il nichel, di cui è primo produttore e che ha molti impieghi, a partire dall’acciaio, che Mosca produce in gran quantità (il 4% mondiale).
Terre rare
Più del conflitto, l’impatto sulle terre rare rischia di essere legato alle nuove alleanze che ne scaturiranno nello scenario post-bellico. Un mercato in mano per buona parte a Russia e Cina, pronti a una sorta di alleanza mista a competizione in Africa.
Per la Cina, non è certo una novità, ma il potenziale mercato attira da qualche tempo anche l’interesse di Mosca, con la convinzione probabile di potersi spartire la torta cercando di escludere l’Occidente. Non a caso, gli scambi commerciali con l’Africa sono raddoppiati dal 2015 e, di conseguenza, anche gli investimenti.
Dopo la Cina, la Russia è il secondo fornitore globale di cobalto, e ai primi posti anche per elementi come il vanadio
Altri minerali e materie prime
A completare il quadro, anche solo per capire le difficoltà oggettive di sostituire le forniture in arrivo dalla Russia, ecco alcune cifre. In termini di volume, più di tutti pesa il 6% dell’alluminio, indispensabile in una serie di applicazioni di ogni natura. Ancora più importante è il fatto che la Russia è il secondo produttore mondiale dietro la Cina. Anche il 4% dell’acciaio è un peso non trascurabile. Nel 2018 la produzione di acciaio grezzo ha raggiunto i 21,1 milioni di tonnellate, al tredicesimo posto nella classifica mondiale.
Da non sottovalutare anche l’apporto di oro, esportato per il 9,2% e il sempre più prezioso rame, la cui quota è del 3,5%.
Un brusco risveglio
A voler comunque provare a essere ottimisti, tutto questo ha avuto un merito. Risvegliare l’Occidente da una sorta di torpore commerciale e iniziare a pensare di essere più indipendente o, almeno, cercare rapporti più reciproci e, nel caso in cui questi vengano compromessi, non vadano a pesare solo su una delle parti.
Paesi come USA, Giappone e Australia ci stanno pensando già da tempo. In particolare, è significativo l’investimento di 35 milioni di dollari annunciato dal Presidente Joe Biden nella MP Materials, attualmente l’unica operazione americana di estrazione e lavorazione delle terre rare, in California. Oppure, il sostegno al progetto australiano Lynas a Kalgoorlie per l’apertura di nuove miniere nel continente oceanico.
Per quanto riguarda l’Europa, al momento il Chips Act resta una delle vie più promettenti e significative. Nonostante i potenziali limiti e difetti, questo è comunque un segnale importante voler imprimere una svolta e puntare a diventare più padroni del proprio destino.
Più in generale, anche il mondo dell’elettronica potrebbe provare a seguire una strada interessante tracciata dal settore alimentare. In un’intervista al Corriere della Sera, Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, ha spiegato come “La globalizzazione idealizzata per anni è finita. È necessario archiviare l’errata convinzione che l’Italia sia un giardino dove non si possa produrre più niente”. A bilancio di tutto infatti va ricordato come il maggior peso sopportato in assoluto dall’Italia per via dei rincari energetici sia dovuto prima di tutto all’enorme dipendenza dalle importazioni.