LED: dalla spia all’automobile

LED

Evoluzione del LED, il diodo luminoso, da comparsa ad attore nel mondo dell’auto, attraverso un lungo percorso iniziato nell’illuminotecnica

Quando nacque, nel 1962, quel diodo che non serviva a rettificare la corrente né a rivelare le trasmissioni radio, non avrebbe mai immaginato di avere un futuro tanto “luminoso”. Eppure, in mezzo secolo il LED è passato dal “fare la spia” a far parlare sempre più di sé, divenendo protagonista dell’illuminazione artificiale non solo degli ambienti, ma anche delle automobili. È quindi doveroso dedicare un po’ di spazio alla sua storia e all’evoluzione tecnologica che lo ha interessato, per arrivare ai gruppi ottici a LED montati sulle auto odierne, dove i diodi luminosi stanno sostituendo le lampadine a incandescenza e quelle a scarica di gas (Xeno) perché oltre ad offrire maggiore efficienza luminosa e più sicurezza (rispetto alle lampadine a filamento scaldano meno e nei confronti di quelle a scarica di gas non espongono al rischio di folgorazione) possono realizzare varie forme di luce, anche modulate.

 

Il LED: questo sconosciuto, ma non troppo

LED è la sigla di Light Emitting Diode, ossia diodo emittente luce e connota un diodo a giunzione PN costruito in modo da far uscire i fotoni emessi a causa dell’energia liberata dalla ricombinazione dei portatori di carica minoritari. Una giunzione PN è idealmente un pezzo di semiconduttore drogato da una parte con impurezze trivalenti e dall’altra con droganti pentavalenti, cosicché nel primo caso si ha carenza di elettroni nel reticolo cristallino del semiconduttore (che è tetravalente) e nel secondo un eccesso di elettroni, che possono quindi essere portati in conduzione creando corrente elettrica. La condizione perché questa corrente fluisca è che la giunzione venga polarizzata con una tensione positiva sulla regione P rispetto alla N (polarizzazione diretta) e maggiore della tensione di soglia, il cui valore dipende dal semiconduttore utilizzato.

Per avere un’idea di cosa accade nella giunzione si può fare riferimento alla Figura 1 che ne schematizza la situazione elettronica dopo il drogaggio; la tensione di soglia Vs corrisponde al potenziale della regione di svuotamento.

LED Figura 1 - La giunzione PN è un blocco di semiconduttore drogato con atomi pentavalenti (N) da un lato e trivalenti (P) dall’altro; nella zona di confine gli elettroni in eccesso della zona N vanno a colmare le lacune nella zona P. Nasce così una barriera di potenziale
Figura 1 - La giunzione PN è un blocco di semiconduttore drogato con atomi pentavalenti (N) da un lato e trivalenti (P) dall’altro; nella zona di confine gli elettroni in eccesso della zona N vanno a colmare le lacune nella zona P. Nasce così una barriera di potenziale

Per far spostare un elettrone dalla zona N in una lacuna lasciata dalla carenza di un elettrone di un atomo di drogante nella zona P, occorre fornirgli una certa energia, che poi è quella necessaria a estrarre un elettrone dalla sua posizione naturale; tale energia si chiama lavoro di estrazione (Wo) e vale:

 

Wo = e × V

 

dove e corrisponde alla carica elettrica di un elettrone (1,6 × 10-19 Coulomb) e V al potenziale di estrazione, il quale varia da un elemento chimico all’altro. Siccome ogni elettrone tende a tornare al legame naturale, quando arriva nella regione P si ricombina cedendo l’energia posseduta, sotto forma di radiazione elettromagnetica la cui frequenza dipende dal lavoro di estrazione, ovvero dal tipo di semiconduttore, secondo la formula:

 

f = Wo / h

 

dove h è la costante di Planck e vale 6,634 × 10-34 J × s.

Nel caso di silicio e germanio, il lavoro di estrazione è basso e non a caso la tensione di soglia della giunzione (V=Vs) è ridotta; ma poca energia significa bassa frequenza e quindi elevata lunghezza d’onda, che cade nell’infrarosso. Infatti, la lunghezza d’onda (l) è il reciproco della frequenza.

Ecco perché il LED ha potuto venire “alla luce” (mai termine fu più appropriato…) solo quando fu possibile creare semiconduttori con band-gap più elevata, ovvero semiconduttori sintetici: in un primo tempo arrivò l’arseniuro di gallio, ottenuto dalla combinazione di due droganti uno pentavalente e l’altro trivalente, poi il fosfuro e arseniuro di gallio ecc., fino al GaN (nitruro di gallio). Il GaAs emette una radiazione luminosa visibile rosso scuro, poco sotto i 680 nanometri, mentre le combinazioni di fosfuro e arseniuro di gallio, in base alla percentuale di fosforo emettono luce arancione, gialla, verde.

L’arseniuro di gallio e alluminio (GaAlAs) emette sul rosso in varie tonalità, dal più scuro al più vivo. Il fosfuro e arseniuro di gallio (GaAsP) permette di ottenere i LED a luce arancione e gialla, mentre il fosfuro di gallio e alluminio (GaAlP) emette luce verde. Con il nitruro di gallio (GaN) si realizzano i LED a luce verde scuro e blu, mentre con il nitruro di gallio e indio (In-GaN) si ottengono LED a luce blu e bianca.

Infine, il seleniuro di zinco (ZnSe) viene usato nei LED blu ed il carburo di silicio (SiC) si utilizza nei LED a luce blu e bianca. In vero l’emissione di luce bianca si ottiene da LED a luce blu rivestiti da fosfori in grado di convertire l’emissione blu in luce bianca; infatti, è praticamente impensabile produrre luce bianca con una semplice giunzione, in quanto essa è la somma di tutti i colori e può essere ottenuta ad esempio dai LED RGB, che contengono tre giunzioni (una emette il rosso, una che il verde e l’altra il blu).

Più è alta la tensione di soglia, minore è la lunghezza d’onda della luce e viceversa.

 

Dalla segnalazione all’illuminazione

Il LED nato per primo è quello di piccola potenza, incapsulato in un package cilindrico con cupola alla sommità (o quadrato, rettangolare, triangolare) ed ha la tipica struttura proposta nella Figura 2.

Figura 2 – Struttura del comune LED vista in sezione: l’anodo è normalmente collegato con un filo d’oro o alluminio alla regione P della giunzione LED
Figura 2 – Struttura del comune LED vista in sezione: l’anodo è normalmente collegato con un filo d’oro o alluminio alla regione P della giunzione

Questo LED basilare è stato utilizzato per anni sia come spia, sia come pixel di display a matrice, per poi diventare l’elemento illuminante elementare di lampade; l’evoluzione della tecnologia produttiva ha permesso di passare dalle basse intensità luminose caratteristiche dei primi LED (intorno alle 50 mcd, millicandele) ad anche 2.500 mcd con flussi luminosi anche di 10 lm (lumen). Il catodo, ossia il polo negativo, si riconosce dal fatto che è più corto dell'anodo (polo positivo) e il rivestimento in plastica è appiattito. L’angolo di emissione della luce viene definito dalla lente incorporata nel package.

Con il passare degli anni è stato possibile sviluppare LED high-power, più adatti a soddisfare le esigenze di corpi illuminanti in grado di competere le lampade a incandescenza: densità di flusso luminoso e possibilità di concentrare l’emissione in un’area ristretta come quella del classico filamento delle alogene, esigenza, questa, specifica dell’automotive.

I LED high-power possono essere singoli, composti da una giunzione, ma anche insiemi di LED collegati in serie o in serie e parallelo.

La loro tecnologia costruttiva è mirata a realizzare giunzioni in grado di farsi attraversare da forti correnti e substrati capaci di smaltire rapidamente ed efficacemente il calore prodotto.

Per ottenere forti correnti, si gioca sul drogaggio del semiconduttore, oltre che sulla dimensione della giunzione.

I LED a singola giunzione sono realizzati saldando il chip di semiconduttore con la zona N su una piastrina di bachelite sulla quale sono stati precedentemente deposte le piazzole dei contatti e quella che ospita il chip stesso; poi, con un filo sottile si collega l’anodo alla piazzola corrispondente (il catodo viene collegato dalla saldatura). In ultimo, si applica al chip, sulla parte superiore (zona a drogaggio P) la lente in resina che corregge l’indice di rifrazione e protegge il semiconduttore dagli agenti atmosferici e meccanici.

I componenti di maggior potenza sono ancora realizzati saldando il chip su un substrato, ma non più di bachelite, bensì d’alluminio; ciò permette di smaltire il calore, sia perché il metallo ha un’elevata conducibilità termica e può, a certe potenze, riuscire da solo a raffreddare la giunzione, sia per il fatto che quando non basta da sé, il substrato può essere applicato a un radiatore di calore, interponendo la pasta termica per migliorare l’aderenza e lo smaltimento del calore. Dopo la saldatura del LED, sulla placca di alluminio viene applicato un anello in materiale isolante (bachelite) sul quale sono stati realizzati i contatti per catodo (preso dal supporto metallico inferiore) e anodo (collegato con un filo d’alluminio alla parte superiore del chip). Il montaggio viene completato con l’applicazione della cupola in resina.

Quanto ai LED multipli, la tecnica costruttiva è quella vista per il tipo high-power con base sempre in alluminio. Il componente viene costruito disponendo tanti LED (ciascuno dotato della cupolina in resina trasparente) quanti ne servono sul substrato metallico; quindi, sovrapponendo il solito anello che fa da bordo e realizza i contatti. Le connessioni vengono poi realizzate usando le piazzole dell’anello isolante, che è una specie di piccolo circuito stampato di bachelite o vetroresina; i singoli led possono venire collegati in serie o in parallelo, oppure in serie-parallelo, a seconda della tensione di lavoro desiderata.

Sovente i LED di alta potenza hanno più contatti di anodo e catodo disposti sul bordo del supporto isolante, il quale è sagomato in maniera da realizzare strutture multiple senza dover tirare fili di collegamento. La forma più utilizzata è ad esagono o ad ottagono (Figura 3) cosicché diviene semplice costruire corpi illuminanti accostando i LED uno all’altro su di ogni lato e saldandoli, ottenendo in tal modo strutture a “nido d’ape”. I contatti sono la metà dei lati per l’anodo e altrettanti per il catodo; quindi, se la forma è esagonale si contano tre anodi e altrettanti catodi. La loro disposizione non è sempre uguale, perché esistono LED con anodi e catodi alternati tra loro, oppure con tutti gli anodi da una parte e i catodi dall’altra metà. L’assemblaggio si realizza accostando per ciascun LED i lati con gli elettrodi di uguale polarità quando si intende realizzare una connessione in parallelo e quelli opposti volendo optare per il collegamento in serie o serie-parallelo.

LED Figura 3 - LED high power su supporto sagomato ad esagono oppure ad ottagono, avente su ogni lato un contatto; tale struttura è studiata per agevolare le connessioni di più componenti in serie, parallelo o serie-parallelo
Figura 3 - LED high power su supporto sagomato ad esagono oppure ad ottagono, avente su ogni
lato un contatto; tale struttura è studiata per agevolare le connessioni di più componenti in serie, parallelo o serie-parallelo

Rispetto a un LED da 5 mm, la struttura del LED high-power permette di ridurre di almeno 10 volte la resistenza termica fra semiconduttore e ambiente, quindi dissipare maggiore potenza. Un tipico LED ad alta potenza, quale ad esempio il LED a luce bianca L128-4095HA35000B della Lumileds,  funziona con corrente diretta tipica di 65 mA con 3V di alimentazione, quindi a una potenza di 195 mW, emettendo un flusso luminoso di 29 lumen, con un’efficienza luminosa di 164,5 lm/W. Un altro esempio è il Luxeon Rebel, che ha una superficie di emissione quadrata di 1 mm e un flusso luminoso di 100 lumen; la sua forma permette una grande libertà di configurazione, ad esempio nei moduli per luci di marcia diurna (DRL) LEDayFlex Hella.

I LED high-power di prima generazione sono anche noti come SuperFlux ed hanno fino a quattro chip; i più comuni sono i “Piranha” e gli “Spider”.

Più recenti sono i LED di potenza SMD, costituiti per lo più da 3-4 chip e da contatti saldati sul circuito stampato o sulla superficie di collegamento elettrico/termico corrispondente. Le versioni del LED SMD sono estremamente versatili e la forma dell’alloggiamento e l’angolo di irraggiamento possono essere facilmente adattati. In combinazione, si utilizzano nelle lampade o nei moduli fluorescenti tubolari. Nell’industria automobilistica vengono principalmente utilizzati per indicatori di direzione, luci di arresto o DRL.

La struttura di un tipico LED SMD a due giunzioni è proposta nella Figura 4.

LED Figura 4 - LED a montaggio superficiale visto in sezione
Figura 4 - LED a montaggio superficiale visto in sezione

Più recenti ancora e molto utilizzati nei corpi illuminanti sono i LED COB (Chip On Board) così chiamati perché montati direttamente sulla scheda elettronica, saldati su piazzole dorate. Il contatto con il polo opposto avviene tramite un filo d’oro o alluminio. Poiché nei LED COB non vengono utilizzati riflettori né lenti, l'angolo di irraggiamento della luce è molto ampio. I più grandi vantaggi della tecnologia COB risiedono nella forte luminosità, nell’illuminazione omogenea e negli ampi ambiti di applicazione. Un esempio di LED COB è proposto nella Figura 5.

Figura 5 – Tipico LED COB
Figura 5 – Tipico LED COB

L’importanza della corrente

In polarizzazione diretta, una volta superata la tensione di soglia Vs la corrente cresce esponenzialmente e ciò significa che per piccole variazioni della differenza di potenziale anodo-catodo si verificano grandi variazioni della corrente diretta; siccome per ottenere il massimo dell’efficienza luminosa da un LED occorre portarlo in prossimità della massima corrente di lavoro, è indispensabile farlo lavorare a corrente costante, quindi pilotarlo in corrente anziché in tensione, ad evitare che pur minime fluttuazioni possano portare la giunzione a lavorare a un valore di corrente che se non è distruttivo, pregiudica le caratteristiche del LED, in particolare ne accorcia la vita utile.

Per vita utile o anche “degrado luminoso” di un LED, si intende il numero di ore di funzionamento prima che la sua luminosità si riduca alla metà del valore iniziale; la durata dipende da fattori tra cui il materiale semiconduttore e le condizioni operative. Non è tuttavia possibile stabilire in linea generale la vita utile, comunque i LED standard durano fino a 100.000 ore, mentre quelli high-power durano circa un quarto o al massimo la metà (25.000÷50.000).

Il controllo in corrente è necessario per evitare la deriva termica o fare in modo che più LED o blocchi di essi emettano la stessa intensità luminosa; si ottiene attraverso un regolatore che varia la tensione applicata ai diodi al fine di mantenere il valore di corrente atteso. L’adozione di circuiti a corrente stabilizzata serve anche per gli alimentatori per LED high-power adattabili a un numero variabile di componenti: in tal caso il circuito pilota eroga una tensione relativamente alta e comunque maggiore di quella richiesta dal massimo numero di led collegabili, però evita l’eccesso di corrente che si determina se si collegano meno LED. Disponendo di un regolatore di corrente, ossia di un circuito che non ha riguardo per la tensione che eroga in quanto la regola al fine di mantenere nei LED una certa intensità.

Sono possibili i tre tipi di alimentazione proposti nella Figura 6, dove viene evidenziato il rendimento corrispondente.

Figura 6 - Tecniche di alimentazione dei LED
Figura 6 - Tecniche di alimentazione dei LED

Le tecniche più utilizzate sono l’alimentazione in continua con stabilizzazione della corrente e quella ad impulsi PWM, sempre con regolazione della corrente.

Il controllo in corrente ha anche il vantaggio di ostacolare la deriva termica, perché come in tutti diodi a semiconduttore, anche nel LED la tensione di soglia scende in modo direttamente proporzionale alla temperatura: ciò significa che a parità di tensione di alimentazione, si verificherebbe un incremento anche rilevante della corrente, mentre puntando alla corrente, la si stabilizzerebbe a prescindere dalla temperatura.

I diodi luminosi sono fonti di luce fredda, poiché emettono luce ma pressoché nessuna radiazione UV o IR; quindi, non riscaldando gli oggetti irradiati; tuttavia sviluppano calore, tanto che della potenza assorbita, fino all’85% si trasforma in calore. Per massimizzarne la vita utile bisogna sia smaltire il calore che producono, sia controllare la temperatura raggiunta, eventualmente operando un derating quando diventi eccessiva. Allo scopo bisogna sia controllare la corrente assorbita, sia rilevare la temperatura ed elaborare i dati corrispondenti; occorre inoltre dimensionare opportunamente i dispositivi di smaltimento del calore, ovvero dissipatori alettati eventualmente abbinati ad elettroventole, considerando che oltre a quello intrinseco, in auto i LED sono esposti a fonti di calore come il motore, i raggi solari ecc.

 

Soluzioni automotive a LED

Il LED è stato inizialmente limitato ai veicoli del segmento Premium, ma col tempo si è diffuso anche sulle vetture di fascia bassa. Infatti, oltre agli aspetti economici, sono soprattutto le motivazioni tecniche a spingere verso il LED. Se in un primo momento l’illuminazione esterna allo stato solido ha riguardato gli indicatori di direzione e le luci di posizione o DRL, oltre che le luci posteriori, in un secondo momento, superati i limiti dei LED in fatto di flusso luminoso per unità di area, è approdata agli abbaglianti, ai fendinebbia e agli anabbaglianti. Oggi siamo ai gruppi ottici multisegment, composti da più LED high-power RGB capaci di geometrie luminose adattabili, ad esempio per fare da DRL, luce di posizione o indicatore di direzione a seconda della situazione; tale architettura permette anche di disinserire determinati LED in base alla destinazione geografica del veicolo, risparmiando sui costi di produzione dei gruppi ottici.

Esistono vari modi per convogliare la luce in una determinata direzione: riflessione, rifrazione e combinazione di riflessione e rifrazione: nel primo caso si utilizzano corpi riflettenti e nel secondo, lenti.

L’adozione di corpi illuminanti a LED porta una serie di vantaggi sia a livello produttivo, sia relativamente all’utilizzo: ridotto consumo energetico e maggiore vita utile, resistenza agli urti e alle vibrazioni, meno calore prodotto, temperatura di colore indipendente dall’eventuale dimmeraggio, colore della luce regolabile (nei LED RGB) minori costi di produzione, più facile orientamento della luce. Un ulteriore vantaggio delle luci a LED è che si accendono praticamente subito, diversamente dalle lampade a incandescenza, che richiedono fino a 0,2 secondi; tale intervallo può fare la differenza quando un veicolo che segue deve frenare, infatti ad esempio a una velocità di 108 km/h, corrispondenti a 30 m/s, si possono guadagnare circa 6 m.

I corpi illuminanti a LED moderni sono composti da complessi di diodi monocromatici (bianco, arancio) o RGB, gestite da un’unità elettronica (LCU/Light Control Unit) in grado di comporre sagome luminose differenti a seconda della luce da accendere: indicatore di direzione, luce di posizione/DLR, STOP ecc. L’unità di gestione è interfacciata al body-computer del veicolo, tipicamente via CAN-BUS o bus di secondo livello.

Un esempio di applicazione dei LED è nei proiettori utilizzati nell’Audi (Figura 7) nelle vetture più recenti, dove una striscia di LED su flex-PCB compone luci di posizione, DRL o indicatori di direzione (cambiando colore) mentre una matrice di LED bianchi high-power viene gestita per implementare vari fasci di luce come la proiezione bassa o quella di profondità.

Figura 7 – Gruppo ottico anteriore dell’Audi A6 con LED multifunzione
Figura 7 – Gruppo ottico anteriore dell’Audi A6 con LED multifunzione

 

 

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