La "parola d'ordine" per i componenti magnetici non è rivoluzione, bensì evoluzione, anche se il loro impiego introduce un tocco di "magia" nel mondo della conversione di potenza. Nel libro "Profiles of The Future" edito nel 1961 Arthur C. Clarke definì le sue tre leggi, la terza delle quali affermava che "Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia". Questa legge, postulata nella seconda metà del XX secolo sarebbe stata pertinente 100 anni prima quando magneti ed elettromagnetismo sono stati integrati nelle tecnologie utilizzate per solenoidi, generatori e motori e può, fino a un certo punto, essere considerata valida anche oggi. James Clerk Maxwell ha utilizzato il lavoro di Gauss, Faraday e Ampere per formulare le equazioni che descrivono l'elettromagnetismo e nel momento in cui valvole e transistor hanno fatto la loro apparizione i dispositivi magnetici sono divenuti i componenti chiave per la conversione di potenza. Fino a oggi, non si sono registrati sostanziali cambiamenti nelle modalità d'uso di questi componenti e i progettisti insistono ancora sulla "magia nera" che circonda il progetto di induttori e trasformatori – quasi una giustificazione per non dover scavare a fondo nel mondo arcano del "flusso" o delle "forze di magnetizzazione".
In pratica, la teoria relativa ai componenti magnetici è cambiata ben poco nel corso dei decenni e ancora si utilizzano le equazioni del 19° secolo nei calcoli di routine utilizzati nello sviluppo dei progetti più avanzati. Le basi scientifiche sono solide e vi sono pochi indizi che possa verificarsi un cambiamento radicale senza scuotere le leggi fondamentali della fisica. Ciò fa ritenere il magnetismo una tecnologia "datata", il cui utilizzo nelle applicazioni di conversione di potenza comporta un aumento dei costi in termini di materiali e manodopera, oltre a rappresentare un ostacolo alla miniaturizzazione. Le tecniche di costruzione e i materiali utilizzati per i nuclei (core) hanno comunque fatto registrare notevoli progressi, complice la sempre più pressante esigenza di implementare funzionalità di conversione della potenza in dispositivi sempre più compatti da utilizzare in applicazioni quali telefoni mobili, IoT e prodotti "indossabili". I fili a sezione circolare hanno lasciato il posto a formati quadrati e piatti e ad avvolgimenti realizzati mediante film o lamine.
Anche nel campo dei materiali dei nuclei si sono registrati progressi a livello non tanto di funzionamento, ma di perdite quando soggetti ad alte frequenze, dando così la possibilità di effettuare la conversione di potenza nella modalità a commutazione (switched-mode) nel range del MHz. Il funzionamento ad alta frequenza riveste un'importanza fondamentale per ridurre costi e dimensioni: le equazioni formulate nel 19° secolo indicano che le spire dell'avvolgimento – e quindi le dimensioni e le perdite nel rame – e il peso diminuiscono con la frequenza, a parità di tutte le altre le condizioni.
Tecniche di costruzione evolute
Grazie all'evoluzione dei formati a basso profilo e di ridotte dimensioni, la costruzione dei componenti magnetici è progredita passando dalle bobine a fori passanti a quelle a montaggio superficiale per arrivare ai dispositivi magnetici integrati nelle schede PCB con l'obiettivo di arrivare a induttori miniaturizzati (chip-scale) e trasformatori incorporati nel silicio. Nel corso di questa evoluzione i costi sono diminuiti, il particolar modo quelli legati alla manodopera. I trasformatori a bobine avvolte che utilizzano fili magnetici possono essere assemblati con un certo livello di automazione, ma c'è sempre la necessità di ricorrere al lavoro manuale e le prestazioni del componenti finale sono variabili. Anche nel caso di avvolgimenti toroidali è possibile ricorrere all'automazione, in presenza di core con diametro di pochi millimetri e fili anche di soli 0,05 mm, ma le terminazioni elettriche di assemblaggi di questo tipo risultano ancora più variabili.
A causa della continua riduzione delle dimensioni, i progettisti di trasformatori devono superare un'altra barriera, rappresentata dagli Enti internazionali che si occupano di sicurezza. L'isolamento richiesto per resistere a tensioni nominali spesso dell'ordine delle migliaia di Volt deve essere garantito dai materiali isolanti posti tra gli avvolgimenti. Le distanze di creepage e clearance (ovvero misurate rispettivamente sulla superficie del materiale isolante e in aria tra le due parti conduttrici) impongono un limite pratico nel momento in cui il trasformatore costituisce una barriera di sicurezza contro tensioni che possono risultare letali.
Sono stati sviluppati fili realizzati con materiali particolari che garantiscono un livello di isolamento adeguato a soddisfare le normative imposte dai vari Enti: solitamente si utilizzano più strati di isolamento in modo che ridurre la probabilità che difetti o microfori (pin-hole) possano allinearsi e provocare fenomeni di breakdown. In caso contrario è necessario ricorrere a un isolamento solido particolarmente resistente o a traferri (gap) di una certa lunghezza, riducendo l'accoppiamento tra gli avvolgimenti a discapito quindi delle prestazioni.
Il problema delle “perdite”
Le perdite nei componenti magnetici rientrano in varie categorie: esiste il cosiddetto "effetto pelle" nel filo dove ad alte frequenze la corrente tende ad accumularsi sulla superficie del conduttore (o, in altre parole, la corrente non si distribuisce uniformemente all'interno di un conduttore) con conseguente aumento della resistenza del conduttore; vi sono effetti dovuti alle correnti parassite (eddy current) e alla prossimità, dove il campo magnetico degli avvolgimenti si accoppia nella struttura del componente provocando una circolazione di correnti indesiderate con conseguenti perdite ohmiche e vi sono infine le perdite nel nucleo.
La figura 1 mostra come variano le perdite nel nucleo nei differenti tipi di materiale dovute al lavoro fatto per l'allineamento ciclico dei domini magnetici nel materiale in direzioni alternate. Si noti che per un materiale e una frequenza particolari la perdita è espressa in Watt per unità di volume del nucleo. Ciò ha un effetto positivo, in quanto nuclei di dimensioni inferiori dissipano meno in determinate condizioni. La figura 2 riporta la potenza ottenibile ricorrendo ad alcuni materiali particolari come ad esempio composti di polvere di ferrite e polimeri e materiali a film granulari, che permettono il funzionamento con perdite ragionevoli a frequenze di 100 MHz e anche superiori. In ogni caso la potenza trasferita a queste frequenze è limitata.
Meglio i trasformatori planari o a bobine?
I trasformatori planari, grazie al loro basso profilo e al fatto che gli avvolgimenti sono solitamente realizzati con le piste della scheda PCB o mediante stampaggio, sono i dispositivi solitamente utilizzati per i prodotti commerciali ad alta potenza. I materiali per i nuclei standard attualmente disponibili consentono il funzionamento a frequenze fino a 30 MHz e una realizzazione di questo tipo, sebbene complessa e relativamente costosa a causa dei materiali utilizzati, garantisce prestazioni ripetibili che possono essere verificate attraverso opportune simulazioni. Una realizzazione di tipo piatto, caratterizzata dalla presenza di facce di ampie dimensioni garantisce un'efficace dissipazione del calore. Nella figura 3 viene riportato un confronto fra trasformatori planari e a bobine relativo alla dispersione del calore a parità di condizioni operative.
Gli svantaggi della costruzione planare sono riconducibili alla difficoltà di ottenere ampie distanze di creepage e di clearance per garantire un isolamento sicuro, mentre le capacità parassite tra gli avvolgimenti possono assumere valori elevati. In ogni caso è possibile implementare in modo semplice schermi elettrostatici (tra l'avvolgimento primario e quello secondario) in modo tale da consentire la simulazione e il controllo degli effetti EMI. I dispositivi magnetici planari solitamente utilizzano nuclei piatti a forma di "E" e una pila (stack) di avvolgimenti della scheda PCB, sotto forma di un assemblaggio separato oppure talvolta come parte della scheda madre. Il passo successivo prevede l'integrazione del materiale magnetico negli strati dell'avvolgimento.
Tra le varie tecniche che sono state messe a punto da segnalare l'uso di ferrite stampata attorno agli avvolgimenti del filo per aumentare il volume del nucleo e ottimizzare la gestione della potenza come nel caso degli induttori della serie FDSD di Murata, oppure l'integrazione di materiale magnetico sotto forma di film nelle schede PCB o ancora l'integrazione di nuclei discreti all'interno degli strati della scheda PCB e la realizzazione degli avvolgimenti mediante piste e microvias come nel caso della serie di convertitori DC-DC delle famiglie NXE e NXJ di Murata Power Solutions. Grazie a un'attenta progettazione e a un accurato controllo di processo, i trasformatori integrati nei substrati possono garantire l'isolamento in presenza di valori elevati di tensione nominale come previsto dagli Enti che definiscono gli standard per la sicurezza. A livello di chip, gli induttori miniaturizzati sono incorporati nei substrati di silicio accanto ai chip collegati mediante tecniche di wire bonding.
Come la mettiamo con la miniaturizzazione?
I dispositivi magnetici miniaturizzati (chip scale) sono gli elementi alla base dello sviluppo di IoT e di altre tecnologie come ad esempio quelle legate all'accumulo e al riutilizzo dell'energia (energy harvesting) anche se vi è una notevole pressione finalizzata a sfruttare le potenzialità offerte dai dispositivi di commutazione WBG (Wide Band Gap – ad ampia band-gap) come ad esempio i MOSFET realizzati in carburo di silicio (SiC) e nitruro di gallio (GaN). La velocità di commutazione di questi componenti può essere dell'ordine delle centinaia di MHz, con basse perdite ad alte potenze e temperature elevate, anche se è difficile reperire componenti magnetici adatti, in grado perlomeno di assicurare basse perdite.
Finora sono stati realizzati progetti utilizzando MOSFET di tipo SiC per potenze superiori a 100 kW e frequenze relativamente basse al fine di mantenere il costo della ferrite entro limiti ragionevoli e contenere le perdite nel nucleo. Le correnti associate a questi elevati livelli di potenza richiederanno l'uso di dispositivi magnetici di tipo planare con avvolgimenti in rame stampato e il ricorso a un raffreddamento di tipo attivo che preveda l'uso di ventole o piastre di raffreddamento a liquido (water plate). I dispositivi magnetici di tipo planare utilizzati in presenza di elevate potenze e alte frequenze consentono un controllo molto accurato delle caratteristiche parassite come ad esempio l'induttanza di dispersione (leakage).
Questo può costituire un elemento di fondamentale importanza nelle topologie di conversione ad alte potenze ed elevate frequenze che utilizzano l'induttanza di dispersione come parte di una rete risonante al fine di ottenere una commutazione con perdite ridotte.