Fin dai tempi in cui Michael Faraday ha dimostrato la possibilità di utilizzare l’induzione elettromagnetica per convertire energia elettrica in movimento, e viceversa, l’applicazione di questo concetto ha contributo a mutare il volto del mondo. Nella sua forma più evidente, essa permette di ottenere un movimento controllato sotto una forma che non è originata da mezzi puramente meccanici. Appare dunque logico che l’industria automobilistica sia passata da un modello che prevedeva l’uso di pompe meccaniche azionate mediante cinghie collegate a un albero a camme a uno che fa ricorso a motori elettrici. L’utilizzo di motori elettrici in applicazioni quali servosterzo, raffreddamento e pompaggio di fluidi offre numerosi vantaggi rispetto alle tradizionali alternative meccaniche in termini di controllo, affidabilità ed efficienza. L’industria automobilistica non ha ancora terminato questa fase di transizione in quanto diverse analisi evidenziano che numerosi produttori stanno optando per i motori Bldc (Brushless Dc), ovvero motori in continua senza spazzole, preferiti ai motori elettrici a spazzole. Grazie all’eliminazione delle spazzole, i produttori sono infatti in grado di conseguire livelli più elevati di controllo, affidabilità ed efficienza.
Il pilotaggio diretto
La sostituzione delle pompe meccaniche con motori elettrici nelle applicazioni automotive assicura indubbi vantaggi, il più ovvio dei quali è rappresentato dalla possibilità di spegnere i motori quando non vengono utilizzati. Ciò non solo permette di risparmiare energia e quindi carburante, ma anche di migliorare le prestazioni del motore. Nel caso di motori che non si raffreddano, all’avvio si scaldano più rapidamente, raggiungono in tempi più brevi la temperatura di funzionamento ottimale e il carburante viene bruciato in modo più pulito. Le caratteristiche che dipendono dalla velocità come il servosterzo sono più semplici da implementare con i motori e possono essere controllate in modo più affidabile per via elettronica. Nonostante i motori elettrici offrano significativi vantaggi rispetto alle alternative meccaniche, la loro implementazione ha avuto un impatto sul progetto del veicolo. Per poterne consentire l’utilizzo, le Ecu (Engine control unit) sono diventate molto più complesse. Nonostante ciò, i vantaggi legati all’uso dei motori elettrici compensano ampiamente questi costi di ingegnerizzazione. Allo stesso modo, anche se i motori Bldc possono garantire vantaggi ben documentati (minor usura, rumore meccanico inferiore, durata maggiore e coppia più elevata), esistono anche alcuni costi nascosti. Il più evidente è quello abbinato alla maggiore complessità dell’elettronica di controllo necessaria per il pilotaggio. Tuttavia, i benefici sul lungo termine superano gli svantaggi iniziali. Nell’industria automobilistica continua la migrazione verso i motori Bldc e si prevede che la penetrazione di questi ultimi aumenti in misura tale da consentire loro di conquistare una quota di maggioranza rispetto ai motori dotati di spazzole. Di conseguenza i progettisti stanno rivolgendo la loro attenzione al design del circuito di pilotaggio e di controllo dei motori Bldc. Anche se la metodologia di base per il pilotaggio di un motore Bldc è abbastanza semplice, un team di progetto deve porre attenzione ai dettagli. Se a ciò si aggiunge il concetto di controllo sensor-less (ovvero senza sensori), le richieste specifiche dell’industria automobilistica e la vasta scelta di componenti disponibili, appare chiaro che, dal punto di vista progettuale, l’utilizzo di motori Bldc comporta l’insorgere di alcuni problemi specifici.
Una transizione senza problemi
I microcontrollori hanno senza dubbio contribuito alla diffusione dei motori Bldc, grazie alla loro capacità di integrare gli algoritmi necessari a controllare un motore Bldc con le periferiche richieste per il suo azionamento. Tipicamente una Mcu pilota i Mosfet di potenza sia direttamente sia attraverso i circuiti per il pilotaggio del gate, disposti in una topologia che consente l’eccitazione delle tre bobine utilizzate nei motori Bldc trifase (sono anche disponibili configurazioni che usano quattro poli e due fasi, come i motori lineari). Come suggerisce il nome stesso, i motori Bldc non usano una spazzola per completare il circuito all’interno del motore al fine di creare i campi magnetici che si respingono utilizzati per generare la rotazione. La forza, invece, viene indotta impiegando algoritmi in grado di rilevare la posizione e/o sensori a effetto Hall per eccitare le bobine nel corretto ordine. Poiché non esiste un collegamento elettrico di tipo fisico con le parti in rotazione, è possibile eliminare il problema della formazione di archi elettrici tipici dei motori con spazzole (causa di usura e di rumore elettrico). Lo stesso discorso vale per le altre limitazioni tipiche dei motori a spazzole, tra cui il valore della coppia che è possibile generare. Nel caso di un motore Bldc, la coppia non è limitata dalla quantità di corrente che può attraversare in modo sicuro i componenti del motore, ma principalmente dai Mosfet utilizzati per indirizzare la corrente. Questa caratteristica rende particolarmente vantaggioso l’uso dei motori Bldc in tutte quelle applicazioni in cui sono richieste coppie e velocità di rotazione molto elevate, oltre a un maggior controllo su questi due parametri. Ovviamente, la scelta dei Mosfet è di fondamentale importanza per le prestazioni complessive di una soluzione basata su motori Bldc, con particolare riguardo all’affidabilità, all’efficienza e al design dei Mosfet stessi. Ciò sarà più chiaro una volta comprese le modalità di pilotaggio e di controllo dei motori Bldc tramite Mosfet.
Come indirizzare la corrente
I circuiti di controllo per i motori Bldc trifase (ovvero che utilizzano tre bobine) prevedono tre circuiti a semi-ponte, dove i Mosfet vengono impiegati per indirizzare la corrente verso la bobina corretta sulla base della posizione della rotazione del motore e della direzione richiesta. Solitamente i Mosfet sono pilotati tramite un segnale Pwm (Pulse width modulation) che innesca e disinnesca i transistor al fine di produrre la rotazione seguendo la temporizzazione prevista. Al fine di spiegare la commutazione base e le considerazioni ad essa associate, nella Figura viene riportato lo schema di una configurazione a ponte che pilota una fase singola a titolo esemplificativo. In una topologia di questo tipo, i Mosfet sono disposti in una configurazione a ponte in modo tale che si venga a creare un percorso tra i terminali di potenza attraverso due Mosfet e la bobina. Vista la modalità secondo la quale è necessario collegare i Mosfet, durante le transizioni può verificarsi un corto circuito tra i terminali di potenza senza passare attraverso la bobina. Ovviamente questo fenomeno, se protratto nel tempo, può produrre danni anche irreparabili ai Mosfet. Per questo motivo tra le fasi di innesco e disinnesco dei Mosfet presenti in un semiponte viene introdotto il cosiddetto “tempo morto”. Durante questo intervallo di tempo la conduzione è ascrivibile al diodo intrinseco (body diode) dei Mosfet. Gli stadi 2 e 4 mostrano gli intervalli del “tempo morto” nella sequenza di commutazione. Appare evidente che la minimizzazione del tempo morto al fine di ottimizzare l’efficienza operativa è l’obiettivo prioritario degli algoritmi di controllo eseguiti dalla Mcu. Il valore del tempo morto che deve essere previsto in un algoritmo è in larga misura determinato dai parametri di commutazione dei Mosfet utilizzati. L’impostazione di un tempo morto in grado di garantire un adeguato livello di sicurezza comporta l’insorgere di un altro fenomeno, noto come corrente di recupero inversa, nel diodo intrinseco dei Mosfet. Si tratta della corrente residua che fluisce attraverso il diodo intrinseco durante il tempo morto e per tutta la durata delle fasi di innesco/disinnesco dei Mosfet. Il diodo inverso continua a condurre anche quando è polarizzato inversamente durante la sequenza di commutazione a causa della carica accumulata. Per un breve periodo di tempo ciò dà luogo a un fenomeno di shoot through (conduzione contemporanea dei due Mosfet appartenenti allo stesso ramo del ponte) momentaneo, che introduce anche perdite di commutazione e interferenze Emi, riducendo l’efficienza. Questa situazione è illustrata negli stadi 4 e 5 di Fig. 2. Gli effetti imputabili al diodo intrinseco influenzano la massima frequenza di funzionamento e, abbinati agli elementi parassiti del circuito, introducono ulteriori perdite e in alcuni casi transitori di tensione. La scelta di un Mosfet con un diodo parallelo a recupero veloce può contribuire a ottimizzare il progetto, così come la scelta di una Mcu e un algoritmo in grado di minimizzare il tempo morto.
La riduzione della on-resistance
La on-resistance dei Mosfet utilizzati per indirizzare il flusso di corrente attraverso le bobine del motore può introdurre perdite significative che i progettisti cercano di minimizzare. Di solito vengono utilizzati Mosfet a canale N, in quanto caratterizzati da una valore di Rds(on) pari a circa la metà di quello dei dispositivi a canale P. A questo punto val la pena segnalare che il valore di questa resistenza non è fisso ma varia durante il funzionamento a causa della tensione ai capi dei terminali di source e di gate, della corrente che fluisce attraverso il suo canale e, soprattutto, della temperatura del dispositivo stesso. Per ottenere bassi valori di Rds(on) è necessario ricorrere a Mosfet a canale N con un’area attiva più grande ma, a dimensioni superiori, corrisponde una maggiore carica di gate. L’innesco del transistor risulterà quindi più lento, limitando la frequenza operativa. Un metodo impiegato dai produttori di Mosfet per diminuire il valore di Rds(on) consiste nell’incrementare la densità della struttura trench del dispositivo. Questa operazione, comporta però un aumento del punto Ztc (Zero coefficient temperature) del dispositivo. Si tratta di una considerazione importante perché, dal punto di vista ideale, un Mosfet dovrebbe operare con una tensione di gate superiore rispetto a quella del punto Ztc. Questo punto è documentato nei data sheet mediante una curva di trasferimento che riporta l’andamento della corrente di drain in funzione della tensione tra gare e source. Questa curva mostra due regioni di funzionamento: una con coefficiente di temperatura positivo e una con coefficiente di temperatura negativo per la tensione di gate. Il funzionamento con tensioni di gate al di sotto del punto Ztc può comportare l’insorgere di guasti legati alla temperatura. Tenendo nella dovuta considerazione questo parametro nella fase di progetto, è possibile configurare la Mcu che genera le forme d’onda di commutazione Pwm in modo tale da fornire la tensione ottimale per il pilotaggio del gate.