Aumenta il peso della bolletta: un recente studio della CGIA di Mestre quantifica l’aumento dei costi per l’energia e analizza il potenziale impatto anche sul comparto dell’elettronica
La questione dei costi per l’energia tiene banco ormai praticamente ogni giorno anche e soprattutto per quanto riguarda le aziende. Le grida di allarme sono all’ordine del giorno e le previsioni per nulla promettenti.
Per affrontare il problema serve prima di tutto capire meglio la situazione attraverso cifre certe. Quanto si è premurata di fare la CGIA di Mestre.
La più recente analisi dei costi per l’energia (http://www.cgiamestre.com/energia-elettrica-questanno-l-eimpfrese-pagheranno-36-miliardi-in-piu/) per le imprese italiane ha permesso di stabilire come rispetto al 2019, la spesa complessiva sia cresciuta di 36 miliardi di euro. Nel giro di tre anni, una cifra praticamente raddoppiata
I calcoli effettuati dall’Ufficio studi della CGIA stimano inoltre per il 2022 un consumo complessivo in linea con quello del 2019. D’altra parte, la tariffa media dell’energia elettrica per le imprese è prevista intorno a 150 euro per MWh. Dopo aver toccato valori superiori a 200 euro per MWh tra dicembre e inizio anno, ora la quotazione è tornata al di sotto di questa cifra.
Per rendere l’idea della situazione, l’ultimo picco registrato nel 2018 aveva raggiunto i 61,3 euro per MWh, mentre nel 2020 si era scesi fino a 38,9 MWh.
A pagare il prezzo maggiore, come prevedibile settori come la metallurgia, da sola incidente per il 7,9% del consumo nazionale. Alle spalle, l’alimentare con 4,5%, per effetto soprattutto dei consumi legati ai negozi, e la chimica con il 3,8%. Con la settima posizione e una quota del 2,7%, anche il settore della produzione elettronica non può certo chiamarsi fuori dal problema.
Secondo la CGIA, i costi per l’energia mettono in pericolo anche l’occupazione. Tra rallentamenti della produzione, prospettiva di fermi temporanei e calo nella domanda in caso di aumento dei prezzi finali, si parla di 500mila addetti a rischio.
Senza trascurare nel lungo periodo rischi ben peggiori, a partire dalla prospettiva di una nuova ondata di delocalizzazioni verso Paesi dal minore costo energetico, grazie anche all’uso più disinvolto di materie prime come il carbone.