Secondo lo studio “Markets and Markets” del 2013 e altre fonti, il mercato mondiale della building automation raggiungerà un giro d’affari vicino ai 50 miliardi di dollari entro il 2018. Questa crescita è alimentata dall’esigenza di rendere i nostri spazi abitativi e lavorativi sempre più sicuri, confortevoli ed efficienti. L’espansione del mercato è guidata in parte dall’introduzione di sensori wireless che semplificano le attività di installazione, ampliamento e modifica. Una grossa fetta dei costi di installazione è infatti rappresentata dalla manodopera necessaria per il cablaggio e dal continuo aumento dei prezzi del rame. Le infrastrutture di automazione wireless possono ridurre drasticamente questi costi ma, per contro, generano costi di gestione a lungo termine, perché in assenza di cavi i sistemi devono funzionare a batteria. I costi per la sostituzione delle batterie sono variabili, ma si tratta comunque di un’attività che prevede molta manodopera, a seconda della posizione del sensore. Una batteria si potrebbe trovare ad esempio su un soffitto a sei metri di altezza o in un altro luogo difficilmente accessibile. In un mondo perfetto non dovrebbe mai essere necessario sostituire una batteria per tutta la vita utile del sensore. Tuttavia, questa condizione spesso non è realizzabile a causa del deterioramento della chimica della pila o del drenaggio di potenza da parte del sensore. Per la maggior parte dei sistemi di building automation wireless, l’autonomia minima della batteria è di 5 anni, mentre si ottengono benefici tangibili con durate comprese fra 10 e 15 anni.
Contenere le perdite
Sono diversi gli aspetti sui quali i progettisti si possono focalizzare per allungare gli intervalli di sostituzione delle batterie. Il primo è analizzare l’ambiente RF nel quale il sensore dovrà operare. Nella maggior parte dei casi si tratterà di una rete con altri sensori. I nodi possono essere strutturati in una rete a maglie (mesh network), dove alcuni sensori fungono da “terminali” e anche da ripetitore. Questa configurazione è molto efficiente dal punto di vista energetico, perché riduce la potenza di trasmissione RF, che può essere la principale fonte di consumo energetico del sensore. Riducendo la potenza di trasmissione e utilizzando router per ripetere i messaggi, si può costruire una rete a bassissima potenza. Questa topologia viene utilizzata spesso in reti wireless basate su IEEE 802.15.4, come ZigBee® o 6LoWPAN. Un problema delle reti mesh è la sincronizzazione, come nel caso di ZigBee. I nodi router devono essere disponibili in qualsiasi momento. Pertanto, se un nodo genera un messaggio o se un messaggio viene inviato a un nodo, questo messaggio viene inoltrato, oppure immagazzinato e poi inoltrato quando il nodo è disponibile. Per i dispositivi a bassissima potenza, i consumi si riducono drasticamente in modalità “sleep”, laddove il dispositivo è fondamentalmente spento, compreso il ricevitore RF. In questa situazione, i nodi router devono essere alimentati (ad esempio in corrente alternata) per monitorare l’arrivo di messaggi dai nodi dormienti quando sono “svegli”. In questo caso il consumo di potenza è molto asimmetrico: i nodi sensori hanno una bassissima potenza e “dormono” per lunghi periodi, mentre i nodi router (che possono fungere anche da sensori) vengono alimentati in continuo e hanno i ricevitori attivi. Per realizzare un’intera rete a bassissima potenza senza router alimentati via cavo, è necessario studiare con molta cura la temporizzazione, con un incremento dei costi e della complessità di ciascun nodo. Tutta la rete si deve “svegliare” in una finestra temporale molto stretta, comunicare e tornare in modalità “sleep”. Maggiore è l’intervallo fra i cicli di attività, maggiore è la difficoltà di temporizzazione. Se un nodo perde la sincronizzazione con la rete, infatti, deve restare attivo fino al ciclo successivo per risincronizzarsi, situazione da evitare in una rete alimentata a batteria.
Per realizzare reti wireless più “pratiche”, il router viene alimentato continuamente da una fonte di energia costante, ad esempio un cavo o, più facilmente, un’alimentazione via Ethernet (PoE). In questo caso i nodi devono essere quanto più efficienti possibili nella gestione della batteria. Tipicamente un microcontrollore spegne la radio e tutti i componenti non essenziali. Nel caso di un sensore, tutta l’elettronica del fronte-end digitale viene spenta. Il microcontrollore entra quindi in modalità a bassa potenza utilizzando un timer per riattivarsi periodicamente, accendere il sistema, inviare eventuali messaggi e tornare in modalità di riposo. Il consumo di potenza viene determinato dalla sequenza dei cicli di riposo e veglia. L’equazione 1 mostra il calcolo per stimare la durata della batteria in base al consumo in modalità “sleep” e “wake”.
T= E_A/P= (C((V_S+V_E)/2)∙α∙eff)/( D(P_W )+(1-D)(P_S )) Eq. 1
L’equazione 1 mostra il Run time (T) in ore basato sugli stati di potenza del ciclo. Tale valore corrisponde al rapporto fra l’energia disponibile (EA) in Wattora e la potenza consumata (P) in Watt. Entrando nel dettaglio, la capacità(C) è indicata in ampere-ora (Ah), VS e VE sono le tensioni iniziale e finale nella fase di scarica, PW e PS sono i consumi di potenza in Watt durante i cicli di attività e riposo, e D è il ciclo operativo (da 0 a 1) del periodo di veglia. Viene applicato un fattore di riduzione, o de-rating, (α) per gestire la batteria in caso di perdita di capacità in applicazioni con una lunga durata (>5 anni). Viene tenuto conto anche dell’efficienza (eff) dello stadio di conversione di potenza, in quanto incide sulle prestazioni. I livelli tipici di efficienza vanno da 80% (eff = 0,8) a 95% (eff = 0,95). Una parte del progetto consiste nel selezionare una fonte di alimentazione che duri 10-20 anni senza un degrado significativo, e un convertitore di potenza (ad esempio un regolatore di commutazione) che sia estremamente efficiente alle basse potenze. Il primo problema si può risolvere con una batteria al litio-cloruro di tionile (Li-SOCl2), caratterizzata da una durata molto lunga (10-25 anni). La chimica Li-SOCl2 è già stata impiegata con successo in contatori remoti e altri sistemi wireless a batteria. Le celle hanno una tensione tipica di 3,6 volt e un’ampia gamma di temperature operative (da –55° C a +125°C). Utilizzando un’unica cella al litio, un nodo sensore può aumentare l’uscita da 3,0-3,6V a +5,0V, oppure utilizzare un convertitore buck-boost come TPS63001 di Texas Instruments che ha un’uscita fissa di 3,3V e può fornire fino a 800 mA in qualsiasi condizione (buck o boost). Questo aspetto è importante nella fase attiva, perché i trasmettitori Rf possono richiedere una quantità rilevante di corrente istantanea. Soprattutto, il convertitore è prevalentemente scarico durante il ciclo di riposo e deve avere una funzionalità per entrare automaticamente in modulazione a frequenza di impulsi o un’altra modalità analoga per conservare potenza. Un’altra fonte di dispersione di potenza è il microcontrollore che resta attivo in modalità di riposo, anche a bassissima potenza. Serve almeno un temporizzatore con il core principale spento per conservare energia, ma anche questa configurazione può assorbire parecchi micro-ampere. Anche microcontrollori a bassa potenza molto sofisticati come il modello MSP430 si aggirano su 0,3 µA di corrente in modalità stand-by. Una soluzione innovativa consiste nell’uso di timer specificamente progettati per lunghi periodi di riposo, come ad esempio il TPL5000 di Texas Instruments. Questo dispositivo (Fig. 1) è dotato di divisori programmabili per generare impulsi di riattivazione con intervalli fino a 64 secondi, oltre a consumi bassissimi di soli 30 nA quando entra in funzione. In presenza di cicli di riposo molto lunghi, questa soluzione può estendere l’autonomia di un sensore wireless alimentato a batteria di ben due anni.