Fondamentale per la produzione di batterie, elemento chiave nella transizione energetica, il litio potrebbe essere uno dei tanti motivi per cui la regione dell’Ucraina orientale è teatro, in queste ore, del più preoccupante confronto armato in Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Le ragioni dell’accanimento con cui la Federazione russa sta portando avanti la seconda fase dell’ “operazione militare speciale” in territorio ucraino possono essere oggetto di diverse letture. Problemi di etnia linguistica e culturale, motivi di rivalsa e rappresaglia contro le forze ucraine colpevoli di atti efferati contro le popolazioni russofone locali, motivi di purificazione ideologica (denazificazione) che si affiancano a operazioni di pulizia etnica condotte senza alcun ritegno sono i motivi più evidenti delle operazioni di devastazione a cui ormai siamo abituati dopo sette settimane di guerra. Una guerra che Vladimir Putin non ha ancora il coraggio di chiamare col suo nome, ma che sta mostrando una brutalità senza limiti e senza giustificazioni.
Eppure sarebbe il caso di osservare questa situazione da un punto di vista diverso, da una prospettiva “sotterranea” sarebbe il caso di dire. Sì, perché il territorio su cui stanno marciando i gruppi tattici di combattimento della Federazione russa ha delle potenzialità a cui Mosca non vuole rinunciare e che potrebbero – nel futuro – rappresentare una fonte inestimabile di approvvigionamento minerario.
La zona compresa grosso modo fra il confine bielorusso e il Donbass, con andamento sud-est, per intenderci, è l’area che i geologi definiscono Scudo di Volinja o anche Scudo ucraino. Un territorio ricchissimo di materie prime, soprattutto pegmatiti con spodumene, un minerale quest’ultimo – chiamato anche trifane – che è fonte di altri minerali metalliferi come l’uranio, il torio, il cesio, il niobio, il tantalio e il litio.
Una "Lithium race" all'orizzonte
Ed è proprio quest’ultimo, il litio, a rappresentare uno degli elementi essenziali dell’industria del futuro. Elemento fondamentale per la transizione energetica, per la produzione di batterie per gli EV e leghe di alluminio per uso aeronautico, ma anche come flussante e fluidificante di scorie di bagni di fusione e nelle saldature e per composti di uso farmaceutico, il litio rappresenta uno dei motivi (sicuramente non il più importante, ma con un peso da non sottovalutare) delle operazioni militari russe in Ucraina. Sono innumerevoli infatti i giacimenti intorno all’area attualmente contestata di Mariupol e del Donbass meridionale, ma anche in quella di Žitomir, città fino a qualche giorno fa soggetta ai bombardamenti terroristici russi e zona verso cui, durante la prima parte dell’operazione militare speciale, erano dirette le armate russe provenienti da nord. Una coincidenza che non può che suscitare sospetti.
L’importanza dell’area e delle sue materie prime si era manifestata ben prima del 24 febbraio, giorno dell’invasione russa dell’Ucraina. L’autunno scorso è stato teatro di una serie di manovre commerciali interessanti a questo proposito. Lo scorso novembre, infatti, l’australiana European Lithium Ltd. si è assicurata il controllo dei giacimenti nell’area del Donec’k e di Kirovohrad e – nello stesso periodo – la cinese Chengxin Lithium ha ottenuto il controllo di due importanti depositi di questo materiale in terrirorio ucraino, rispettivamente a Shevchenkivske e Dobra, il primo nel Donec’k orientale, il secondo nella zona centrale del paese. Una serie di operazioni che – nello stesso periodo – hanno segnato un testa a testa fra Cina e Stati Uniti per tentare di accaparrarsi i giacimenti di questo materiale in giro per il mondo, come capitato ad esempio nel caso della Millennial Lithium Corp. operante nel “Triangolo del litio” argentino (in realtà si tratta dell’area andina compresa fra gli stati del Cile, della Bolivia e dell’Argentina), che è stata soffiata dagli americani della Lithium Americas Corp ai produttori di batterie cinesi della Contemporary Amperex Technology Co Ltd.
Sta di fatto che le quantità di questo materiale presso i giacimenti europei dell’Ucraina – un materiale definito “oro bianco” proprio per il suo valore tecnologico e commerciale – sono ingenti: secondo la stima dell’organismo scientifico ucraino Interconf sono vicine a valori di 500.000 tonnellate nella forma di ossido di litio contenuto in pegmatite, spodumene o carbonato di litio. E la sua importanza è anche confermata dall’aumento vertiginoso del prezzo che, ad aprile, ha conosciuto un apprezzamento del 436% (!) su base annua.
Bisogna poi tenere conto che le scorie dell’estrazione del litio – ad esempio dallo spodumene – non sono cosituite da materiali inquinanti come piombo, zinco o cadmio, ma principalmente da silicati (quarzo o feldspato), che possono essere venduti direttamente all’industria della ceramica, importante soprattutto per le aziende italiane del settore (tra l’altro, se pensiamo che il 25% del materiale utilizzato dall’industria della ceramica viene proprio da quella regione dell’Ucraina, si capisce come anche per noi la situazione possa presentare dei rischi non indifferenti per il prossimo futuro).
Il futuro del litio
Ma cosa si aspetta il futuro di questo materiale, che sembra essere diventato essenziale per buona parte delle economie avanzate?
Secondo una stima del Fondo Monetario Internazionale, proprio per la crescita esponenziale nella domanda di automobili elettriche, il destino del litio da qui al 2040 (insieme a quello del rame) sarà quello di quadruplicare come valore, con in previsione una vera e propria “lithium race” destinata ad aggravare i contrasti fra i grandi Paesi interessati allo sfruttamento di questa risorsa.
Un motivo, dunque, per non perdere il controllo di una risorsa che potrebbe sfuggire di mano a noi europei: le due aree di estrazione più importanti sono infatti, in Europa, la Serbia e la regione ucraina del Donbass. La prima chiara sostenitrice del governo di Putin, la seconda martellata dai BGT dell’esercito russo che – nella loro opera di programmatica devastazione del territorio ucraino – darebbero l’opportunità alla Russia di Putin di controllare un’area mineraria ricchissima e di fondamentale importanza strategica.