Verso un’energia più flessibile

Una serie di tecnologie innovative sta gradualmente cambiando le modalità di produzione e gestione dell’energia elettrica, rendendole sempre più flessibili. Oggi l’energia elettrica può essere prodotta in grandi quantità senza ricorrere ai combustibili fossili, può essere generata localmente in piccole dosi senza bisogno di batterie, può essere messa da parte quando non serve e successivamente utilizzata al bisogno, immagazzinata per pochi secondi o per settimane, in quantità sufficienti ad azionare un freno oppure ad alimentare uno stabilimento. Oltre che agli impianti fotovoltaici ed eolici (di cui non ci occuperemo in questo articolo), l’aumento della flessibilità si deve principalmente a tre tipi di soluzioni: le tecnologie di energy harvesting, che consentono di alimentare dispositivi elettronici a basso consumo; i supercondensatori, componenti di accumulo capaci di sostenere anche carichi elettrici di notevole potenza; i sistemi di “grid storage”, che permettono alle reti di distribuzione dell’energia elettrica di compensare le fluttuazioni su entrambi i lati, produzione e consumo, grazie a grandi banchi di batterie e ad altre modalità di accumulo.

L’energy harvesting
L’energy harvesting non è più una curiosità, ma una soluzione tecnologica concretamente utilizzabile in molte applicazioni a basso consumo. Il concetto e i vantaggi di questa tecnologia sono ormai ben noti: si tratta di sfruttare una delle varie forme di energia liberamente disponibili nell’ambiente – quindi onnipresenti e gratuite – per convertirle in elettricità. Ciò consente di alimentare piccoli carichi facendo a meno sia dei fili della rete elettrica, sia di batterie da sostituire periodicamente. Due delle forme di energia più abbondanti tra quelle liberamente disponibili nell’ambiente sono la luce solare e il vento; in un certo senso, quindi, anche gli impianti fotovoltaici e le turbine eoliche possono essere considerati esempi di energy harvesting, ma di solito questa espressione è utilizzata per indicare soluzioni a bassissima potenza che sfruttano i gradienti di temperatura, le vibrazioni, oppure le onde elettromagnetiche emesse da vari trasmettitori radio (stazioni base della telefonia cellulare ecc.). La fattibilità pratica delle soluzioni di energy harvesting si deve anche alla comparsa di dispositivi elettronici a bassissimo consumo e ai progressi nel campo delle batterie ricaricabili, che sono necessarie per accumulare l’energia prodotta da fonti discontinue. Tra le soluzioni di energy harvesting disponibili sul mercato ricordiamo, a titolo d’esempio, i piccoli pannelli fotovoltaici prodotti da Olimex e da Parallax; i radiointerruttori di EnOcean, che sfruttano la pressione del dito sul tasto; i ricevitori di Powercast, che convertono le onde elettromagnetiche in corrente continua; e le termocoppie MEMS della tedesca Micropelt. Attualmente le applicazioni più promettenti dell’energy harvesting riguardano gli impianti all’interno degli edifici (radiointerruttori per l’accensione delle luci, sensori wireless di presenza e umidità ecc.) e gli impianti industriali (alimentazione di sensori wireless collocati in punti difficilmente raggiungibili, ad esempio nel settore petrolifero). Tra le società startup operanti in questo settore ricordiamo la francese Arveni, che ha realizzato un prototipo di telecomando per Tv senza batteria, alimentato tramite un harvester piezoelettrico.
Secondo la società di ricerche di mercato IDTechEx, il mercato mondiale dei dispositivi di energy harvesting di qualunque tipo (compresi, ad esempio, quelli utilizzati negli orologi da polso che si ricaricano da soli grazie al movimento del corpo) avrà un valore di oltre cinque miliardi di dollari nel 2022. Prendendo in considerazione invece solo le applicazioni wireless (ad esempio le reti di sensori), la società di ricerche di mercato Yole Développement prevede che il mercato mondiale dell’energy harvesting  passerà dai 19 milioni di dollari del 2012 a 227 milioni di dollari nel 2017, con una crescita del 51 % all’anno.

I supercondensatori
Un’altra delle tecnologie che contribuiscono a rendere più flessibili le modalità di produzione e impiego dell’energia elettrica è quella dei supercondensatori, detti anche ultracondensatori o, con espressione più tecnica, Edlc (Electrochemical Double Layer Capacitor). Anche in questo caso si tratta di una soluzione concretamente disponibile e utilizzata in molte applicazioni. Dal punto di vista delle loro capacità di immagazzinare ed erogare energia elettrica, i supercondensatori possono essere considerati come una via di mezzo tra i normali condensatori e le batterie. La loro capacità elettrica può infatti raggiungere i 12.000 Farad, diecimila volte di più dei condensatori elettrolitici. I dispositivi Edlc devono queste loro prestazioni a meccanismi di funzionamento diversi da quelli dei normali condensatori. Questi ultimi, infatti, funzionano grazie a un fenomeno puramente elettrico: la differenza di potenziale provoca un accumulo di carica elettrica positiva su una delle armature e negativa sull’altra. Nel caso dei supercondensatori, invece, agiscono due fenomeni elettrochimici, che qui non è possibile descrivere in dettaglio; si tratta, in breve, della “capacità a doppio strato” (detto anche “doppio strato di Helmholtz”), che si verifica all’interfaccia tra un solido e un liquido, con la formazione di due strati di ioni di segno opposto; e della “pseudocapacità”, l’accumulo di energia elettrica dovuto a reazioni redox (riduzione-ossidazione).
Il punto di forza dei supercondensatori è la loro elevata densità di potenza, cioè la possibilità – con un piccolo ingombro - di fornire molto rapidamente grandi quantità di energia. Le batterie, invece, continuano a mantenere il primato della densità di energia, cioè a parità di ingombro possono immagazzinare maggiori quantità di energia, ma non sono in grado di erogarla altrettanto rapidamente. (Ricordiamo, per comodità, che la potenza è l’energia trasferita nell’unità di tempo: un watt equivale a un joule al secondo). Rispetto alle batterie, inoltre, i supercondensatori possono essere caricati in un tempo molto più breve e sopportano un numero di cicli carica/scarica molto più alto. Infine possono essere fabbricati con tecnologie più sicure rispetto alle batterie agli ioni di litio e sono in grado di funzionare bene anche alle basse temperature. Tra gli sviluppi tecnologici in questo campo è compresa la comparsa di dispositivi denominati Aedlc (Asymmetric Electrochemical Double Layer Capacitor), indicati anche con il termine inglese “supercabattery” per sottolineare la loro natura intermedia tra i supercondensatori e le batterie.
Tra gli attuali impieghi dei supercondensatori sono compresi l’apertura di emergenza delle porte degli autobus, l’avviamento a freddo degli autocarri, i sistemi che richiedono una carica e una scarica molto rapide, come ad esempio il KERS delle vetture di Formula 1 (che recupera l’energia in frenata per riutilizzarla in accelerazione). Questi componenti sono utilizzati anche in combinazione con le normali batterie per migliorarne le prestazioni (in termini di potenza) e prolungarne la vita utile. Tornando al tema della flessibilità, gli Edlc rendono possibile ad esempio utilizzare treni elettrici su linee ferroviarie prive dei tradizionali impianti di elettrificazione (cavi aerei o terzo binario), come avviene in un prototipo di metropolitana sviluppato in Cina: le locomotive sono equipaggiate con supercondensatori che vengono ricaricati a ogni fermata in soli trenta secondi, fornendo l’autonomia sufficiente per percorrere due chilometri e raggiungere la stazione successiva. Il numero dei produttori di supercondensatori sta aumentando rapidamente (tra essi sono compresi Maxwell, Avx, Nichicon, Panasonic ecc.) e le tecnologie continuano a migliorare. Ad esempio, oggi per produrre questi dispositivi non è più indispensabile utilizzare l’acetonitrile, sostanza tossica e infiammabile, che può essere sostituito da altri elettroliti, anche a base acquosa. La società di ricerche di mercato IDTechEx riferisce inoltre che i produttori giapponesi Sumitomo e Meidensha si propongono di quintuplicare entro pochi anni la densità di energia dei supercondensatori, anche grazie all’impiego dei nanotubi di carbonio.
La diffusione dei supercondensatori è in deciso aumento, in applicazioni che vanno dalla trazione elettrica all’energy harvesting. Per questo la già citata IDTechEx ha formulato previsioni di crescita rosee: il mercato mondiale di questi dispositivi triplicherà nel giro di pochi anni, superando nel 2018 il valore di tre miliardi di dollari e raggiungendo undici miliardi nel 2023.

Il grid storage
Uno dei campi applicativi più importanti delle tecnologie di accumulo dell’energia è quello che riguarda le reti di distribuzione dell’energia elettrica, indicato con l’espressione inglese “grid storage”. Va detto che le reti elettriche hanno sempre utilizzato alcune forme di accumulo energetico: ad esempio il riempimento di bacini idroelettrici tramite pompe, i volani meccanici, i serbatoi di aria compressa; tradizionalmente, però, queste soluzioni avevano solo lo scopo di compensare le fluttuazioni della domanda di energia, poiché le fonti energetiche convenzionali (ad esempio le centrali a carbone o a gas) possono garantire una produzione costante. Oggi si osservano due elementi nuovi: da un lato il maggiore impiego delle fonti rinnovabili (fotovoltaico ed eolico) comporta la necessità di compensare anche fluttuazioni nella produzione di energia, dovute alla variabilità delle condizioni metereologiche; dall’altro lato l’odierna disponibilità di nuove tecnologie di accumulo ne incoraggia un uso più sistematico. La combinazione di questi due fattori induce a ritenere che le applicazioni di grid storage siano destinate a un forte sviluppo; le principali società di ricerche di mercato che seguono questo settore forniscono però previsioni molto diverse tra loro. Tra le tecnologie di accumulo innovative sono compresi i sistemi magnetici basati su superconduttori, molti nuovi tipi di batterie, nonché la soluzione Power To Gas. Per quanto riguarda le batterie, varie aziende statunitensi stanno sperimentando nuove tecnologie che promettono una maggiore densità di energia e un abbattimento dei costi: tra esse sono comprese le società Eos (batterie zinco-aria), Aquion Energy (tecnologia Aqueous Hybrid Ion) e Ambri (tecnologia Liquid Metal Battery). Le esperienze europee nel campo delle grandi batterie comprendono la tecnologia “regenerative fuel cell” (detta anche “redox flow cell”), che si basa su soluzioni elettrolitiche a base acquosa contenute in grandi serbatoi. Tra le società che realizzano sistemi completi di grid storage, solitamente collocati entro container, sono comprese l’europea Abb e le statunitensi Xtreme Power e Primus Power. Questi sistemi comprendono ovviamente convertitori elettronici di grande potenza che trasformano la corrente continua delle batterie in corrente alternata. La soluzione di storage Power To Gas (P2G), sperimentata soprattutto in Germania, è invece più articolata rispetto all’impiego delle batterie: in questo caso i picchi di produzione energetica degli impianti fotovoltaici o eolici (eccedenti rispetto alla domanda) sono sfruttati per alimentare impianti di elettrolisi dove l’acqua viene scomposta in idrogeno e ossigeno. Diviene così possibile produrre grandi quantità di idrogeno, che può essere utilizzato in quanto tale come combustibile, oppure combinato con carbonio per produrre normale gas metano (la cui formula chimica, ricordiamo, è CH4). Naturalmente può accadere che anche la produzione di metano sia eccedente rispetto alla domanda, ma le reti di distribuzione del gas comprendono da sempre la possibilità di accumulo; ad esempio il metano può essere pompato sottoterra, negli stessi giacimenti naturali da cui viene estratto. Su una scala molto più ridotta, si prevede che i sistemi di accumulo basati su batterie entreranno a far parte anche degli impianti fotovoltaici domestici, per immagazzinare l’energia in eccesso e restituirla nei momenti di scarso irraggiamento solare.

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